giovedì 30 novembre 2006

Storia del crocifisso nelle scuole pubbliche italiane (Rosci Valentina)

L’esposizione dei crocifissi nelle scuole pubbliche viene disposta mediante circolare con riferimento alla Legge Lanza del 1857 per la quale l’insegnamento della religione cattolica era fondamento e conoramento dell’istruzione cattolica, posto che quella era la religione di Stato.
L’esposizione del crocifisso negli uffici pubblici in genere, è data con ordinanza ministeriale 11 novembre 1923 n. 250, nelle aule giudiziarie con Circolare del Ministro Rocco, Ministro Grazia e Giustizia, Div. III, del 29 maggio 1926, n. 2134/1867 recante “Collocazione del crocifisso nelle aule di udienza”, che recita:
“Prescrivo che nelle aule d’udienza, sopra il banco dei giudici e accanto all’effige di Sua Maestà il Re sia restituito il Crocifisso, secondo la nostra tradizione. Il simbolo venerato sia solenne ammonimento di verità e giustizia. I capi degli uffici giudiziari vorranno prendere accordi con le Amministrazioni Comunali affinché quanto esposto sia eseguito con sollecitudine e con decoro di arte quale si conviene all’altissima funzione della giustizia”.
In materia scolastica si ricordano, le norme regolamentari art. 118 Regio Decreto n. 965 del 1924 (relativamente agli istituti di istruzione media) e allegato C del Regio Decreto n. 1297 del 1928 (relativamente agli istituti di istruzione elementare), che dispongono che ogni aula abbia il crocifisso.
Con circolare n. 367 del 1967, il Ministero dell’Istruzione ha inserito nell’elenco dell’arredamento della scuola dell’obbligo anche i crocifissi.
Nei Patti Lateranensi e successivamente nelle modifiche apportate al Concordato con l’Accordo ratificato e reso esecutivo con la L. 25 marzo 1985 n.121[1], nulla viene stabilito relativamente all’esposizione del crocifisso nelle scuole o, più in generale negli uffici pubblici, nelle aule del tribunale e negli altri luoghi nei quali il crocefisso trova ad essere esposto.
Con parere n. 63 del 1988, infatti, il Consiglio di Stato ha stabilito che le norme dell’art 118 R.D. 30 aprile 1924 n. 965 e l’allegato C del R.D. del 26 aprile 1928 n. 1297, che prevedono l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche non possono essere considerate implicitamente abrogate dalla nuova regolamentazione concordataria sull’insegnamento della religione cattolica. Ha argomentato il Consiglio di Stato: premesso che “il Crocifisso, o più esattamente la Croce, a parte il significato per i credenti, rappresenta il simbolo della civiltà e della Cultura cristiana, nella sua radice storica, come valore universale, indipendentemente da specifica confessione religiosa, le norme citate, di natura regolamentare, sono preesistenti ai Patti Lateranensi e non si sono mai poste in contrasto con questi ultimi. Occorre, poi, anche considerare – continua il Consiglio di Stato – che la Costituzione Repubblicana, pur assicurando pari libertà a tutte le confessioni religiose, non prescrive alcun divieto alla esposizione nei pubblici uffici di un simbolo che, come il Crocifisso, per i principi che evoca e dei quali si è già detto, fa parte del patrimonio storico[2]”.
Le norme citate dovrebbero, però, ritenersi implicitamente abrogate dal d.lgs. 297/94 in cui all’art. 107, nell’elencazione puntuale delle suppellettili che compongono l’arredo si fa riferimento esplicito solamente all’attrezzatura, l’arredamento e il materiale da gioco per la materna. In modo più chiaro ed esplicito l’art. 159 stabilisce “Spetta ai comuni prevedere al riscaldamento, all’illuminazione, ai servizi, alla custodia delle scuole e alle spese necessarie per l’acquisto, la manutenzione, il rinnovamento del materiale didattico, degli arredi scolastici, ivi compresi gli armadi o scaffali per le biblioteche scolastiche, degli attrezzi ginnici e per le forniture dei registri e degli stampati occorrenti per tutte le scuole elementari…”. L’art. 190 stabilisce che “i Comuni sono tenuti a fornire (…) l’arredamento” dei locali delle scuole medie.
Nessun riferimento al crocifisso.
Sicchè si potrebbe sostenere che le norme dell’art. 118 R.D. 30 aprile 1924 n. 965 e l’allegato C del R.D. n. 1297 del 1928, dovrebbero ritenersi implicitamente abrogate ex art. 15 preleggi[3], perché il d.lgs. 297/ 94 regola l’intera materia scolastica.
Tuttavia restano in vigore in forza dell’art. 676 dello stesso decreto intitolato “norme di abrogazione” il quale dispone che “le disposizioni inserite nel presente testo unico vigono nella formulazione da esso risultante; quelle non inserite restano ferme ad eccezione delle disposizioni contrarie od incompatibili con il testo unico stesso, che sono abrogate”.
Orbene, alla specificazione del contenuto minimo necessario delle locuzioni generali “arredi” ovvero “arredamenti” contenute negli artt. 107, 159 e 190 concorrono le due disposizioni regolamentari citate, comprendendovi anche il “crocifisso”.
Così si può affermare che le disposizioni del d.lgs. 297/94, come specificate dalle norme regolamentari citate, includono il crocifisso tra gli arredi scolastici.
Conclusivamente, poiché non appare ravvisabile un rapporto di incompatibilità con norme sopravvenute, né può configurarsi una nuova disciplina dell’intera materia, già regolata da norme anteriori, né, come ha ritenuto il Consiglio di Stato, attengono all’insegnamento della religione cattolica, né costituiscono attuazione degli impegni assunti dallo Stato in sede concordataria, le disposizioni di cui all’art. 118 R.D. 30 aprile 1924 n. 965 e quelle
allegato C del R.D. 26 aprile 1928 n. 1297, devono ritenersi legittimamente operanti[4].
La Corte di Cassazione (Sez. III, 13-10-1998) ha affermato in particolare, che non contrasta con il principio di libertà religiosa, formativa della Costituzione, la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche: “Il principio della libertà religiosa, infatti, collegato a quello di uguaglianza, importa soltanto che a nessuno può essere imposta per legge una prestazione di contenuto religioso ovvero contrastante con i suoi convincimenti in materia di culto, fermo restando che deve prevalere la tutela della libertà di coscienza soltanto quando la prestazione, richiesta o imposta da una specifica disposizione, abbia un contenuto contrastante, con l’espressione di detta libertà: condizione questa, non ravvisabile nella fattispecie”, nella quale si discuteva della lesività del principio di libertà religiosa proprio ad opera dell’esposizione del crocifisso nell’aula scolastica adibita a seggio elettorale.
In una recente decisione, invece, la Cassazione[5] ha ritenuto contraria al principio di laicità l’esposizione dei crocifissi nei seggi elettorali, prendendo ad esempio una decisione del Tribunale Costituzionale tedesco del 1995[6]. Escluso che l’articolo 9 del nuovo Concordato con la Chiesa cattolica – in cui la Repubblica italiana prende atto che “i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano” – possa costruire idoneo fondamento normativo alla prassi amministrativa in materia, la Suprema Corte rigetta anche la “giustificazione culturale”, contraddicendo espressamente l’avviso del Consiglio di Stato. Non è sostenibile, infatti, “la giustificazione collegata al valore simbolico di un’intera civiltà o della coscienza etica collettiva”, per il contrasto in essa implicito con il divieto delle differenziazioni per motivi religiosi.
È lecito esporre un crocifisso in un’aula scolastica, in un tribunale o in un ufficio pubblico, questa scelta può offendere la coscienza del non credente o dell’appartenente ad una confessione religiosa contraria a tale simbologia? L’esposizione contraddice la “laicità dello Stato”? E a che tipo di simbologia deve essere ascritto il crocifisso: identità religiosa o culturale?
Nel corso dell’anno scolastico 2002-2003, Adel Smith, cittadino italiano di religione musulmana, domanda all’insegnante della scuola di Ofena (in provincia di L’Aquila), frequentata dai suoi figli, di rimuovere il crocifisso appeso alla parete o, in subordine, di appendervi un quadretto con la sura del Corano. L’insegnante accondiscende a questa seconda richiesta, ma viene smentita dal dirigente scolastico il quale impone di rimuovere il quadretto. Assistito da un avvocato, Adel Smith ricorre al Tribunale di L’Aquila per ottenere un pronunciamento d’urgenza. Investito della questione, il Tribunale ribadisce il carattere laico della Repubblica italiana e delle sue istituzioni e il 23 ottobre decreta la rimozione del crocifisso[7]. Un’ordinanza successiva ha invece revocato tale rimozione poiché ha ritenuto che l’istanza presentata non integrasse una domanda “meramente risarcitoria”, ma si concretizzasse nella richiesta di una misura di carattere inibitorio idonea ad interferire nella gestione del servizio scolastico, dal che la sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo[8].
La rimozione del crocifisso scatena un’aggressiva polemica pubblica e una vera e propria campagna per il rilancio del crocifisso così che la maggior parte degli italiani hanno fatto questo tipo di ragionamento: “L’offesa è grande. Insopportabile. Una prevaricazione. Un esproprio. Un Tizio entra nel tuo alloggio, si accomoda in poltrona, ha libero accesso al frigorifero, usa il tuo bagno e invece di ringraziare per l’ospitalità, ti ingiunge di togliere dalla parete quel “coso” lì. Sarà anche un coso ma permetti decido io se deve restare lì o sparire[9]”.
Un ragionamento un po’ rozzo ma tale vicenda ci fa comprendere che oggi la questione dei simboli religiosi, a partire dal sostrato argomentativo connesso alla rivendicazione della libertà di coscienza e della neutralità dello Stato, può trasformarsi in un momento di “scontro tra religioni e civiltà”.
Una questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dal TAR del Veneto[10], avente ad oggetto gli artt. 159 e 190 del d. lgls. n. 297 del 1994, come specificati dall’art. 119 allegato C del R.D. 26 aprile 1928 n. 1297 e dall’art. 118 del R.D. 30 aprile 1924 n. 965, nella parte in cui includono il crocefisso tra gli arredi scolastici, nonché l’art. 676 d.lgs. 297/94, nella parte in cui conferma la vigenza degli artt. 119 allegato C del R.D. 1297/28 e 118 del R.D. 965/24.
Il Tribunale remittente sostiene che il crocifisso è essenzialmente un simbolo religioso cristiano, di univoco significato confessionale, che l’imposizione della sua affissione nelle aule scolastiche non sarebbe compatibile con il principio supremo di laicità, desunto dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19, 20 della Costituzione, e con la conseguente posizione di equidistanza e di imparzialità fra le diverse confessioni che lo Stato deve mantenere; che la presenza del crocifisso, che verrebbe obbligatoriamente imposta ad alunni, genitori e insegnanti, delineerebbe una disciplina di favore per la religione cristiana rispetto alle altre confessioni, attribuendo ad essa una ingiustificata posizione di privilegio.
La Corte Costituzionale con ordinanza 389/2004[11] ha ritenuto di non doversi pronunziare in quanto le norme in esame hanno natura regolamentare, norme prive di forza di legge, sulle quali non può essere invocato un sindacato di legittimità costituzionale, né conseguentemente, un intervento interpretativo.
In questa prospettiva, l’ordinanza della Corte, con le sue argomentazioni tecniche, pare suggerire un inasprimento di toni senza rinunciare a continuare ad interrogarsi. Tuttavia il dibattito in corso sull’esposizione del crocifisso pare sempre meno legato alla religione, alla religiosità e alla fede e invece strumentalizzato dai politici di destra e di sinistra.
Rosci Valentina



[1] Viene abrogato il principio della religione cattolica come religione di Stato mediante il punto 1 del Protocollo Addizionale all’Accordo di Villa Madama. Il Concordato 1984 non prevede, perciò, l’insegnamento diffuso della religione cattolica.
[2] Analogamente si esprimeva il Ministro di Grazia e Giustizia, a seguito di un esposto di un privato al Presidente della Corte di Appello delle Marche, sulla vicenda, dopo il nuovo Concordato della circolare che prescrive il crocifisso nelle aule giudiziarie (Circ. n. 1867 della Div. III n. 2134 del Reg. Circ., emessa il 29 maggio 1926). Sostenendo il dovere di mantenere il simbolo, il Ministro ha affermato che “ …il cristianesimo è componente integrante della nostra storia… il crocifisso, il segno più alto del cristianesimo, appare, allora, per tutti, credenti e non, come il simbolo di questa nostra civiltà come il segno della nostra cultura umanistica e della nostra coscienza etica. Si ritiene, dunque, che la presenza nelle aule ove si amministra la giustizia la presenza del simbolo rappresentativo della legge morale e dell’etica che sta alla base della nostra società sia tuttora opportuna e non contrasti con i principi di libertà di pensiero e di religione posti dalla Costituzione. Infatti tale simbolo sarà letto in termini religiosi dall’uomo che crede , ma avrà valore indicativo e morale anche per chi vede la vita e la storia solo come vicenda terrena”.
[3] Abrogazione delle leggi. Le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore.
[4] Parere 16 luglio 2002, Avvocatura dello Stato di Bologna.
[5] Cass. pen., Sez. IV, 1 marzo 2000, n. 439, in Giur. Cost., 2000, p. 1121. La Cassazione ha riconosciuto “l’obiezione di coscienza” di uno scrutatore che lamentava come contrario ai propri convincimenti il fatto che l’amministrazione pubblica nell’organizzare le operazioni elettorali non avesse provveduto all’eliminazione dei crocifissi nei luoghi adibiti ai seggi, nonostante che nel seggio dell’interessato non fosse esposto tale simbolo.
[6] BVerfG, 16 maggio 1995, in QDPE, 1995, p. 808.
[7] Con tecnica del tutto contraria si era pronunciato un giudice di merito, sulla richiesta di rimuovere il crocifisso, sostenendo che esso doveva restare esposto, posto che la sua presenza
non può costituire pregiudizio alcuno per la formazione culturale e ideologica dell’alunno… data la particolare importanza che la figura di Cristo ha assunto nella nascita e nella evoluzione della civiltà occidentale, come dimostrato, tra l’altro, dalla testimonianza di un uomo di cultura laica come Benedetto Croce, il quale pubblicamente riconosceva che “..non possiamo non dirci cristiani” (Pret. Roma, 28 aprile 1986, in Riv. giur.scuola, 1986, p. 619).
[8] V. Trib. L’Aquila, ord. 29 novembre 2003 e 23 ottobre 2003, in Foro it., 2004, I, p. 1262.
[9] V. FELTRI, Il diario di Vittorio Feltri, in Libero, 29-10-2003, p. 1552.
[10] V. Trib. Veneto, sez. I, ord. 14 gennaio 2004, in Foro it., 2004, III, p. 235.
[11] Ordinanza 13 dicembre 2004 n. 389, in Giur. Cost., 2004.




giovedì 9 marzo 2006

La laicità nella Repubblica italiana non è contrapposizione tra stato e confessioni religiose (Filosa Teresa)

Commento alla Sentenza del Consiglio di Stato - Sezione VI -13 febbraio 2006 n. 556

La motivazione dei giudici amministrativi
Il Consiglio di Stato è stato chiamato a pronunciarsi sulla dibattuta questione del Crocifisso nelle scuole. Nella motivazione si osserva in via preliminare che l’ostensione del Crocifisso non può ritenersi illegittima per l’asserito contrasto con l’aconfessionalità dello Stato, dovendosi piuttosto definire il principio della laicità alla stregua dell’ordinamento costituzionale. Richiamando la giurisprudenza della Corte costituzionale, i Giudici della VI sez. riconoscono che la laicità è principio generale che si ricava dal comb. disp. degli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 Cost. Prosegue poi la Corte amministrativa, nel precisare che laicità nel nostro ordinamento “Indica in forma abbreviata profili significativi di quanto disposto dalle anzidette norme, i cui contenuti individuano le condizioni di uso secondo le quali esso va inteso ed opera”.
In altri termini il concetto extragiuridico di laicità è da intendersi recepito nell’ordinamento costituzionale, nei limiti in cui esso risulta giuridicamente “ridefinito” dalla reciproca interazione delle norme richiamate.
E’ ampio il contenuto delle disposizioni della Costituzione relative alla sfera religiosa, come ribadirà in seguito la Corte amministrativa. Esse tutelano l’aspetto religioso come diritto fondamentale della persona in sé (art. 2 - disposizione intesa comunemente come clausola aperta[1]) considerata uguale agli altri cittadini a prescindere dal proprio credo, nel senso che la fede religiosa è uno degli aspetti della persona tutelato contro la discriminazione (art. 3)[2]. La Costituzione garantisce a tutti la libertà di esprimere l’aspetto religioso della personalità individuale e sociale (artt. 2 - 19)[3]. La tutela si estende alle istituzioni con finalità religiose che non possono essere discriminate per il loro fine religioso o di culto (art. 20)[4]. La tutela e i rapporti tra Stato e Chiesa Cattolica e le altre confessioni religiose sono poi rispettivamente regolati dagli artt. 7 e 8 Cost[5].
La sentenza in commento argomenta che la soluzione del quesito posto ai giudici presuppone in via preliminare chiarire il confine tra ideologia e diritto sul tema “caldo” della laicità:
“Le condizioni di uso vanno certo determinate con riferimento alla tradizione culturale, ai costumi di vita, di ciascun popolo, in quanto però tale tradizione e tali costumi si siano riversati nei loro ordinamenti giuridici. E questi mutano da nazione a nazione”.
Schematizzando:
a) il concetto di laicità dello Stato in rapporto al fenomeno religioso e le stesse espressioni religione o culto richiamano nozioni relative alla cultura, tradizione, costume di un popolo; si tratta di un dato che va pertanto, contestualizzato e storicizzato;
b) l’ampiezza e i limiti del riconoscimento del dato sociologico, antropologico, ecc. sono dati dalla loro giuridicità ossia dalla ricezione in ordinamenti giuridici[6];
c) per il nostro ordinamento, il contenuto e i limiti di tale riconoscimento sono dati dalla ricezione degli elementi extragiuridici nelle norme costituzionali sopra richiamate.
La Corte amministrativa prosegue con una breve rassegna comparativa di diritto internazionale volta ad esemplificare i concetti sopra espressi, evidenziando la relatività e diversità rispetto ai vari ordinamenti del concetto di laicità. Ed opera una triplice distinzione tra:
► Laicità di tipo contrappositivo: il fenomeno religioso è considerato in antitesi allo Stato che pertanto, tende a limitarlo e costringerlo nelle maglie del diritto. Si fa l’esempio dell’ordinamento Francese, e si indica ad esempio la recente legge che limita l’ostentazione dei simboli religiosi.
Non vi è chi non vi ravvisi un residuo delle concezioni illuministiche in base alle quali il fenomeno religioso era ritenuto in contrasto con la Ragione e considerato un ostacolo alla scienza e al progresso[7].
► Laicità di tipo consociativo - come l’ordinamento degli U.S.A. in cui, nonostante l’affermata separazione tra ordinamento statale e confessioni religiose, si manifesta una parziale commistione o integrazione tra le due sfere (esemplificata dal Collegio, nel riferimento a Dio contenuto nella moneta americana).
► Laicità di tipo autonomistico caratterizzata, nel nostro ordinamento, dalla reciproca indipendenzadella sfera temporale da quella spirituale ed espressa nell’assetto sopra sintetizzato.
La Corte amministrativa esplicita il significato dell’autonomia ed indipendenza della sfera civile e religiosa, col rimarcare che esse si connotano di un atteggiamento “di favore nei confronti del fenomeno religioso” e delle confessioni che lo propugnano. Esso si esprime, tra l’altro nella regolamentazione dei rapporti mediante il meccanismo del Concordato per la Chiesa Cattolica, e di intese preventive recepite in leggi per le altre Confessioni (art. 7 e 8 co.3 Cost).
Quanto osservato dalla Corte è sufficiente ad escludere dunque, decisamente, sia l’irrilevanza religiosa, sia l’atteggiamento ostativo, nella laicità giuridicamente rilevante per l’ordinamento italiano.
In particolare, il significato del Simbolo “Crocifisso”.
Passando ad esaminare la questione ad essa sottoposta, se l’imposizione del Crocifisso nelle aule di una scuola pubblica sia lesiva dei contenuti delle norme fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, che danno forma e sostanza al principio di "laicità" che connota oggi lo Stato, il Collegio premette ancora una definizione dei termini del discorso, relativa al significato, nell’ordinamento, del Simbolo in oggetto, a prescindere dal suo valore strettamente religioso per coloro che professano la fede cattolica:
“E’ evidente che in Italia, il crocifisso è atto ad esprimere, appunto in chiave simbolica ma in modo adeguato, l’origine religiosa dei valori di tolleranza, di rispetto reciproco, di valorizzazione della persona, di affermazione dei suoi diritti, di riguardo alla sua libertà, di autonomia della coscienza morale nei confronti dell’autorità, di solidarietà umana, di rifiuto di ogni discriminazione, che connotano la civiltà italiana.
Questi valori, che hanno impregnato di sé tradizioni, modo di vivere, cultura del popolo italiano, soggiacciono ed emergono dalle norme fondamentali della nostra Carta costituzionale, accolte tra i "Principi fondamentali" e la Parte I della stessa, e, specificamente, da quelle richiamate dalla Corte costituzionale, delineanti la laicità propria dello Stato italiano.
Vi è di più - sembra osservare la Corte amministrativa. Il simbolo, a prescindere dalla sua origine religiosa, comunica valori di pregio anche in un contesto ambientale educativo come quello di un istituto scolastico statale, e la validità della loro espressione in quel luogo e attraverso quel simbolo, costituisce scelta discrezionale del legislatore che, conformemente ai principi costituzionali, ritiene rilevanti tali valori.
Tutto ciò fonda e legittima la generalizzata obbligatorietà del simbolo, non già qualeprevaricazione religiosa, retaggio di uno stato confessionale,ma quale obbligatorietà del rispetto, nonché riconoscimento del rilievo culturale della trasmissione di valori solidamente radicati, prima ancora che giuridicamente riconosciuti:
“Il richiamo, attraverso il crocifisso, dell’origine religiosa di tali valori e della loro piena e radicale consonanza con gli insegnamenti cristiani, serve dunque a porre in evidenza la loro trascendente fondazione, senza mettere in discussione, anzi ribadendo, l’autonomia (non la contrapposizione, sottesa a una interpretazione ideologica della laicità che non trova riscontro alcuno nella nostra Carta fondamentale) dell’ordine temporale rispetto all’ordine spirituale, e senza sminuire la loro specifica "laicità", confacente al contesto culturale fatto proprio e manifestato dall’ordinamento fondamentale dello Stato italiano. Essi, pertanto, andranno vissuti nella società civile in modo autonomo (di fatto non contraddittorio) rispetto alla società religiosa, sicché possono essere "laicamente" sanciti per tutti, indipendentemente dall’appartenenza alla religione che li ha ispirati e propugnati”.
Osservazioni conclusive. Libertà come dialogo, tolleranza reciproca e promozione positiva di valori.
La Costituzione Italiana viene adeguatamente prospettata dalla pronuncia in commento, suffragata dalla giurisprudenza della Consulta, Progetto fondante che non si limita ad elencare le liberta fondamentali in un acritica successione di disposizioni, bensì come l’assetto delle libertà dei soggetti pubblici e privati ossia le modalità del loro interagire, affinché sia garantito sul piano sociale il limite reciproco dei valori di eguale rilevanza, per la pacifica coesistenza. E sul piano formale, per garantire l’armonizzazione del sistema.
La Costituzione esprime i valori comuni e portanti che unificano un Popolo su una data espressione territoriale, a fini di sviluppo del Progetto “Repubblica democratica”, ossia di espansione sempre maggiore delle libertà individuali e collettive. Il che tuttavia, presuppone per converso, doveri e responsabilità, rispetto e tolleranza reciproca.
Il discorso sul simbolo Crocifisso - assume una portata ampia e complessa di cui con ogni probabilità giudici sono stati consapevoli allorché hanno ricavato, sia pure in sintesi, i valori laici sottesi al Crocifisso.
Di tali implicazioni ne indico tre:
► il riferimento alla Storia d’Italia. In ciò - vale la pena di ricordare - una delle ragioni che furono alla base del deciso rifiuto del Presidente Ciampi, alla prospettiva di rimuovere dal Quirinale l’artistico Crocifisso. A ben vedere, quel Crocifisso richiama proprio la storia recente, ma anche futura tra il Quirinale e non solo la Santa Sede (con riferimento al Concordato), ma richiama - parallelamente - per la pari dignità insita nel sistema Costituzionale (così come interpretato dal C.d.S e dalla Consulta), il valore sociale, prima ancora che giuridico, delle “intese” volte a costituire il contenuto sostanziale delle leggi di rilevanza costituzionale che disciplinano i rapporti con le confessioni religiosericonosciute dall’ordinamento. Una laicità dunque, sul piano della Costituzione vivente.
Ne deriva che la tutela riconosciuta dallo Stato alle confessioni religiose esprime non solo la fredda e formale “tolleranza” misurata per così dire a “centimetri” di spazio assegnato, ma il valore ben più pregnante della positiva collaborazione fatta di conoscenza, dialogo e accoglienza reciproca tra le fedi e con le istituzioni statali, al fine della realizzazione del bene comune, nel campo economico, politico e sociale.
► La seconda implicazione riguarda la stretta connessione tra Crocifisso e arte. Il Crocifisso è in Italia il più Autorevole dei simboli religiosi, ma non l’unico. Si pensi ad antiche icone, bassorilievi, ecc. che allocati negli istituti che - eventualmente mediante convenzioni con enti religiosi - utilizzassero locali di antichi conventi o chiese non più adibite a culto per l’edilizia scolastica pubblica. La loro ipotetica rimozione peraltro, comporterebbe tecnicamente il rischio di deterioramento, qualora si trattasse di opere realizzate su supporti congiunti alla parte muraria. E ancora i mosaici, statue, bassorilievi o affreschi a carattere religioso esistenti non in privati musei, ma in giardini e altri luoghi pubblici. Per tacere delle storiche edicole della Vergine e dei Santi che troviamo ai lati delle strade e nelle piazze pubbliche, dalla Capitale alle stradine di remote contrade del Paese.
La laicità - intesa nel senso contrappositivo sopra indicato -nonnesuggerirebbe con la sua assurda logica, la rimozione e sostituzione con asettiche pitturazioni bianche, ovvero con cartelloni pubblicitari in nome di una laica religione del consumismo?
E’ il caso di osservare che l’arte è la prima testimone della dimensione sociale e non esclusivamente intimistica della fede religiosa, per rendersi conto dell’incongruenza di prospettare una tolleranza e un rispetto tra culture religiose basate sulla “soppressione” nell’ambito della vita pubblica dei reciproci segni o simboli religiosi.
► Si accenna infine soltanto, al discorso dei contenuti dell’insegnamento “laico”nelle scuole. Si pensi ad es. alla prassi centenaria, di allestire, nel periodo natalizio, il presepe nelle scuole pubbliche italiane. Sarebbe davvero assurdo se un docente d’Italiano o di Storia dell’arte - per un malinteso laicismo oppositivo - tacesse del significato del presepe (magari sostituendovi un “laico” abete...). O per fare un ultimo riferimento a Figure -“simbolo” della fede cattolica universalmente stimati, si pensi al paradosso di un insegnante che ritenesse “non legittimo” trasmettere ai discenti i contenuti educativi di pace, amore per i poveri, per il creato, espressi da S. Francesco d’Assisi, che la Chiesa Cattolica proclamò Patrono d’Italia...
Il dato di fatto su cui l’illustre Collegio sembra aver invitato la società civile ad una serena riflessione è che pur nel rispetto di una società multiculturale, i valori religiosi espressi dal Crocifisso sono per così dire amalgamati in un mulsum ormai inscindibile, nel sostrato antropologico, storico, lessicale, artistico, letterario del Paese. Insomma in ciò che chiamiamo sinteticamente “cultura italiana” e “nostre radici”. Di tutto ciò, già i Padri della Repubblica, che parteciparono alla Costituente, erano saggiamente consapevoli.
Avv. Teresa Filosa - Avvocato del Foro di Torre Annunziata (NA)


[1] Sull’art. 2 come clausola aperta cfr. Martines, Diritto Costituzionale, Giuffré 2005, p. 594
[2] Sulla laicità come eguaglianza delle confessioni religiose rispetto allo Stato ex art. 3 Cost., cfr. la sentenza della Corte Cost. n. 440 del 1995, che dichiara l’illegittimità parziale del reato di bestemmia, art. 724 1 co., del codice penale, limitatamente alle parole “o i Simboli o le Persone venerati nella Religione dello Stato” e così ne apre la portata anche alla tutela di Divinità venerate dai culti acattolici; nonché la sentenza che dichiara l’illegittimità costituzionale del vilipendio alla religione dello Stato art. 402 c.p. Si segnala infine, con riferimento agli artt. 3 e 8 Cost., la sent. della Corte Cost. n. 195/93 sulla ammissibilità delle confessioni prive d’intesa con lo Stato ai contributi regionali per l’edilizia di culto (L. Reg. Abruzzo n. 29/88).
[3] Sulla tutela delle confessioni religiose non cattoliche in riferimento all’art. 17 Cost. : sent. n. 45/57; con riferimento agli artt. 8 e 19 Corte Cost. n. 59 del 1958.
[4] Con riferimento agli artt. 7, 8 e 20 Cost. si segnala la sent. Corte Cost. n. 86 del 1985.
[5] Sui limiti della giurisdizione ecclesiastica in rif. agli artt. 7 e 102 Cost., cfr. le sentenze Corte Cost. n. 30/71 e 1/ 77. Sui rapporti tra Concordato e legge ordinaria, in tema di insegnamento della Religione Cattolica: Corte Cost. n. 390/99.
[6] Il che rende in seguito, più complessa l’operazione ermeneutica per la loro determinazione e applicazione pratica ai vari istituti che li recepiscono: non vale più, soltanto il riferimento alla realtà sociale, poiché i concetti extragiuridici sono incorporati e limitati dal sistema normativo dato, che ne definisce tra l’altro, come nel caso di religionee culto anche le modalità operative.
[7] Andrebbero approfondite nel caso specifico le ragioni storiche, sociali e politiche che hanno condotto in Francia alla disciplina restrittiva dei simboli religiosi a cui fa riferimento la Corte amministrativa.
P.S. Un’ultima notazione a proposito dei contenuti dell’insegnamento “laico”.
Ho tralasciato volutamente il riferimento a Dante, poiché nessuno potrebbe negare che la sua Opera è imprescindibile nello studio dell’evoluzione della Lingua italiana dal latino al volgare.
(Peraltro, il riferimento a Dante, come pure agli affreschi di Giotto è già contenuto nell’articolo del Prof. Avv. Raffaele Coppola, Ordinario di Dir. Eclesiastico all’Università di Bari, scritto a commento delle precedenti sentenze - vedi: “Il Simbolo del Crocifisso e la laicità dello Stato” in http://www.studiocelentano.it/editorial/131201.asp).
Gli studi danteschi sono fiorenti altresì in Europa e nelle università degli USA. Perciò sarebbe impensabile un nuovo... “esilio” culturale del sommo Poeta in Patria...
Vorrei piuttosto rilevare un dato eloquente, da cui trarre autorevole conferma di quanto si sosteneva, circa l’intima connessione, tra religione cristiana, letteratura e cultura italica in generale. Lo ricavo dalle reminiscenze del mio Poeta preferito, Giuseppe Ungaretti. Egli giunge alla fede attraverso l’esperienza del dolore. Poeta tra le due guerre, proprio nel dolore incontra Cristo, Colui che ha condiviso il dolore umano. Con animo riconoscente, il Nostro eleva a Cristo un inno, nel quale peraltro, denuncia che, a causa proprio dell’abbandono dei valori cristiani, la stoltezza umana ha prodotto gli orrori che il Poeta e i suoi contemporanei hanno tristemente sperimentato: Vedo ora nella notte triste, imparo,/So che l'inferno s'apre sulla terra / Su misura di quanto/L'uomo si sottrae, folle,/Alla purezza della Tua passione.
Ma il dato significativo che vorrei evidenziare è contenuto nell’epilogo:
Cristo, pensoso palpito
Astro incarnato nell’umane tenebre
fratello che t'immoli
perennemente per riedificare
umanamente l'uomo,
Santo Santo che soffri,
Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli,
Santo, Santo che soffri
per liberare dalla morte i morti
e sorreggere noi infelici vivi;
d'un pianto solo mio non piango più.
Ecco, Ti chiamo, Santo,
Santo, Santo che soffri
.
(Mio Fiume anche tu - Da “Il Dolore-Roma Occupata”)
Ebbene, con gli ultimi versi qui citati, connotati dalla marcata assonanza col Sanctus, Ungaretti sarebbe colpevole - secondo i teorici del laicismo oppositivo censurati nella sentenza in commento - di introdurre arbitrariamente, la Liturgia cattolica nella Letteratura!...


giovedì 2 marzo 2006

Il Crocifisso deve restare nelle aule scolastiche (Mario Pavone)

Con una importante decisione,il Consiglio di Stato è intervenuto sulla questione della esposizione del crocifisso nelle aule stabilendo, una volta per tutte, che «per tutti, credenti e non credenti, essa non discrimina».

Respingendo il ricorso di una signora finlandese,che aveva chiesto la rimozione della croce dalla parete dell’aula di una scuola media frequentata dai figli, la cui esposizione avrebbe a suo dire violato i principi di laicità dello Stato e d'imparzialità dell'amministrazione,la VI Sezione,con sentenza n.556 del 132/2006,ha stabilito che il crocifisso deve restare nelle aule perché esso non è solo un simbolo religioso,ma esprime tutti i valori civili di tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione dei suoi diritti e solidarietà, tutti principi che “delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato”(1).

La sentenza in commento ha il pregio di ricondurre,in termini strettamente giuridici, un dibattito, quello sulla libertà religiosa e sulla laicità della Repubblica italiana, troppo spesso ispirato da interpretazioni che gli stessi giudici hanno descritto come «ideologiche».

Il Crocifisso rimane, dunque, “sintesi di valori anche per i laici» e ha «funzione altamente educativa» a prescindere dal culto.Esso è un segno che non discrimina ma unisce,non offende ma educa.

Fuori dalle chiese, in un ufficio pubblico come può essere una scuola, il crocifisso resta un riferimento alla fede per i cristiani, «ma per credenti e non credenti la sua esposizione sarà giustificata e assume rà un significato non discriminatorio sotto il profilo religioso, se esso è in grado di rappresentare e di richiamare in forma sintetica immediatamente percepibile e intuibile (al pari d'ogni simbolo) valori civilmente rilevanti, e segnatamente quei valori che soggiacciono e ispirano il nostro ordine costitu zionale, fondamento della nostra civile convivenza».

Esso,dunque,esprime valori quale «tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione dei suoi diritti, riguardo alla sua libertà, autonomia della coscienza morale nei confronti dell'autorità, solidarietà umana, rifiuto di ogni discriminazione»,valori che «hanno impregnato di sé tradizioni, modo di vivere, cultura del popolo italiano».

In questo senso «il crocifisso potrà svolgere, anche in un orizzonte "laico", diverso da quello religioso che gli è proprio, una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni».(2)

La ricorrente cittadina straniera nel 2002 si era rivolta al Tribunale amministrativo regionale del Vene to che,dopo aver sollevato la questione davanti alla Corte costituzionale(3),che l'aveva dichiarata inammissibile, aveva respinto il ricorso.

I Giudici del massimo consesso amministrativo hanno giudicato «infondato» il ricorso in appello proposto dalla medesima ricorrente motivando la decisione proprio con il principio di laicità dello Stato,

Si legge,infatti, nella sentenza che «non si può pensare al crocifisso esposto nelle aule scolastiche come a una suppellettile, oggetto di arredo e neppure come a un oggetto di culto; si deve pensare piuttosto come a un simbolo idoneo a esprimere l'elevato fondamento dei valori civili sopra richiamati, che sono poi i valori che delineano la laicità nell'attuale ordinamento dello Stato».

Uno Stato laico, dunque, rispetta la sensibilità e la libertà religiosa di ciascuno, riaffermando al tempo stesso valori comuni a tutti i cittadini.

Anzi, si legge ancora nella sentenza, «nel contesto culturale italiano appare difficile trovare un altro simbolo, in verità, che si presti più di esso (del crocifisso, ndr) a farlo; e l'appellante del resto auspica (e rivendica) una parete bianca, la sola che alla stessa appare particolarmente consona con il valore della laicità dello Stato».

La decisione delle autorità scolastiche «in esecuzione di norme regolamentari» di esporre il crocifisso - ha osservato il Consiglio di Stato - «non appare pertanto censurabile con riferimento al principio di laicità proprio dello Stato italiano».

Né vale obiettare, come è stato sostenuto nel ricorso,che quelle norme regolamentari (contenute nel regio decreto 965 del 1924) furono emanate quando la religione cattolica era «la sola religione dello Stato» perché «è altrettanto vero che tale norma non impedì minimamente al legislatore, nel corso di vari decenni, di adottare in molteplici settori della vita dello Stato una normativa contraria agli interessi della confessione cattolica» e perfino «di ascrivere la Chiesa cattolica tra le associazioni illecite».

Va ricordato come già in precedenza, il Consiglio di Stato si era pronunciato sulla questione con il parere n. 63/1988(4),documento efficace perché capace, nel breve volgere di poche righe, di riassumere egregiamente quanto di meno condivisibile è possibile sostenere su questo tema(5).

Le asserzioni in esso contenute sono tre.

a) Non sarebbe ravvisabile alcun rapporto di incompatibilità tra le norme regolamentari concernenti l'esposizione del crocefisso nelle scuole e le norme sopravvenute.

b) Il crocefisso, <>.

c) La presenza del crocefisso nelle aule non costituisce <>.

A tale orientamento fece seguito il noto,quanto controverso,provvedimento giudiziale del Tribunale aquilano, che nell'ottobre del 2003 sollevò una vivace reazione sociale ed un coinvolgimento diretto di forze politiche ed istituzioni.(6)

"Nell'ambito scolastico – motivava la sentenza - la presenza del simbolo della croce induce nell'alun no a una comprensione profondamente scorretta della dimensione culturale della espressione di fede, perché manifesta l'inequivoca volontà, dello Stato, trattandosi di scuola pubblica, di porre il culto cattolico al centro dell'universo, come verità assoluta, senza il minimo rispetto per il ruolo svolto dalle altre esperienze religiose e sociali nel processo storico dello sviluppo umano, trascurando completamente le loro inevitabili relazioni e i loro reciproci condizionamenti".

La rimozione del crocifisso, concludeva il giudice, è l'unica misura possibile per inibire la lesione del diritto di libertà dei figli minori, poichéè l'alternativa sarebbe non far partecipare all'attività didattica i piccoli scolari.

Anche la esposizione del Crocifisso nelle aule di giustizia è stato oggetto di critica.

Lo scorso anno,la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione(7) aveva stabilito che l'esposi zione del crocifisso nelle aule di udienza, pur costituendo "una situazione astrattamente sussumibile nelle fattispecie processuali di cui all'art. 45 c.p.p. se si ha riguardo al suo carattere extraprocessuale" non assume rilevanza per la rimessione del giudizio e che è "indubitabile che la esposizione del crocifisso esula dalla fattispecie processuale de qua perché difetta dell’imprescindibile carattere locale".

La Suprema Corte, aveva precisato che "la esposizione del crocefisso nelle aule giudiziarie non è limitata al Tribunale di Verona, e neppure agli uffici giudiziari di quella città, ma si estende ai tutto il territorio nazionale,in conformità, del resto, al contenuto della menzionata fonte ministeriale, che indirizzava l'obbligo di esporre il crocefisso a tutti i capi degli uffici giudiziari nazionali" con la conseguenza che " non può invocarsi l'istituto della rimessione del processo per scongiurare un pericolo di parzialità del giudice o di turbamento del giudizio, quando la situazione che asseritamente genera quel pericolo ha dimensione nazionale, essendo evidente che in tal caso anche la translatio iudicii non sarebbe in grado di rimuovere o evitare quella stessa situazione che si assume pregiudizievole per la imparzialità e serenità del giudizio".

La Corte aveva così respinto l'istanza dell'imputato di fede islamica il quale contestava la presenza del crocifisso nell'aula del Tribunale poiché contraria alla laicità dello Stato italiano e costituente un'intrusione nella sfera di libertà negativa del singolo che può perciò pregiudicare la libera determinazione dei soggetti del processo (dal giudice allo stesso imputato) ovvero costituire un legittimo sospetto sulla imparzialità dello stesso Giudice.(8)

Ostuni, Febbraio 2006

di Mario Pavone Presidente ANIMI

NOTE

(1) v.sentenza in calce

(2) così D.Paolini, in Avvenire

(3) ordinanza 14 gennaio 2004, n. 56 del TAR Veneto e sentenza Corte Cost. 15/12/2004 n.389

(4)v.in Filodiritto.com

(5) v.G.Galante, Piccole note sul Crocifisso nelle aule scolastiche,in Ass.Costituzionalisti.it,ott.2004

(6)v.Tribunale dell’Aquila ordinanza 22 ottobre 2003, Giudice Montanaro,

(7)v. Cass.Sent. n. 41571/2005

(8)v.C. Matricardi, in StudioCataldi.it ,dicembre 2005




http://www.diritto.it/art.php?file=/archivio/21633.html


lunedì 13 febbraio 2006

Consiglio di Stato Sezione Sesta - sentenza n. 556/2006

Consiglio di Stato Sezione Sesta

sentenza n. 556/2006

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto da S. L., rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Ficarra e dall’avv. Corrado Mauceri, ed elettivamente domiciliata in Roma presso lo studio dell’avv. Fausto Buccellato, viale Angelico, n. 45,

contro

il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è per legge domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,

e nei confronti

di P. B.o, in proprio e quale genitore della minore L. B., e di L. B., nella qualità di Presidente della Associazione Italiana Genitori (A.GE.), rappresentati e difesi dall’avv. prof. Franco Gaetano Scoca, ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in Roma, via G. Paisiello, n. 55,

dell’Associazione Forum, rappresentata e difesa dall’avv. Ivone Cacciavillani, il quale agisce oltre che in qualità di presidente dell’Associazione, in proprio uti civis ex art. 86 c.p.c., e dagli avv. ti Sergio Dal Prà e Luigi Manzi, ed elettivamente domiciliata in Roma presso lo studio di quest’ultimo, in via Federico Confalonieri, n. 5,

per l'annullamento

della sentenza n. 1110 del 2005 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, sez. III, resa inter partes.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio delle parti intimate;

Visti gli appelli incidentali del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, di Paolo Bonato e di Linicio Bano, e dell’Associazione Forum;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 13 gennaio 2006, relatore il Consigliere Sabino Luce, uditi l’avv. Buccellato per delega dell’avv. Mauceri, l’Avvocato dello Stato Palatiello, l’avv. Giusti per delega dell’avv. Scoca, e l’avv. Luigi Manzi.

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

1.- Premette la ricorrente di avere, in proprio e quale madre dei minori D. e S. A., alunni, all’epoca, della scuola media "Vittorino da Feltre" di Abano Terme, chiesto innanzi al TAR Veneto l’annullamento della deliberazione del 27 maggio 2002 del Consiglio di Istituto, nella parte in cui respinge la proposta di escludere tutte le immagini e i simboli di carattere religioso negli ambienti scolastici in ossequio al principio di laicità dello Stato, lasciandoli esposti nelle aule, sulla base dei seguenti motivi: a) violazione delprincipio dilaicità dello Stato (artt. 3 e 19 della Costituzione [1], art. 9 della Convenzione dei diritti dell’uomo, resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, 848); b) violazione del principio di imparzialità della Amministrazione (art. 97 della Costituzione).

Il TAR Veneto, con ordinanza n. 56 del 13 novembre 2003, previa reiezione delle eccezioni pregiudiziali (il ricorso è stato proposto da un solo genitore dei minori A.; difetto di giurisdizione del giudice amministrativo; mancata notifica ad almeno uno dei controinteressati; non è stata impugnata la circolare del 3 ottobre 2002 del Ministero dell’Istruzione, con la quale è stata raccomandata l’esposizione del crocefisso a cura dei dirigenti scolastici), ha sospeso il giudizio e rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità degli artt. 159 e 190 del Testo Unico n. 297 del 16 aprile 1994, come specificati rispettivamente dall’art. 119 del r.d. 26 aprile 1928, n. 1297 (all. C) e dall’art. 118 del r.d. 30 aprile 1924, n. 965, nella parte in cui includono il crocefisso tra gli arredi delle aule scolastiche, nonché del predetto T. U. nella parte in cui conferma la vigenza delle disposizioni di cui all’art. 119 del r.d. 26 aprile 1928, n. 1297 (tab. C) e all’art. 118 del r.d. 30 aprile 1924, n. 965, in riferimento al principio di laicità dello Stato e, comunque, agli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione.

Con ordinanza del 13 dicembre 2004, n. 389, la Corte Costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di costituzionalità, sollevata dal TAR, in quanto concernente norme regolamentari (i citati artt. 118 e 119), la cui attuale vigenza il TAR erroneamente assume che si ricavi dall’art. 676 del T. U. del 1994, "perché la eventuale salvezza, ivi prevista, di norme non incluse nel testo unico, e non incompatibili con esso, può concernere solo disposizioni legislative e non disposizioni regolamentari, essendo solo le prime riunite e coordinate nel testo unico medesimo, in conformità alla delega…".

Con la sentenza, di cui viene chiesta la riforma, il TAR Veneto, previa reiezione delle eccezioni sollevate in giudizio dalla Amministrazione e dall’interveniente, ha estromesso dal giudizio la Associazione Forum e la Associazione Genitori di Padova, e ha respinto il ricorso con una motivazione che viene definita dalla appellante "del tutto originale, perché non rispecchia alcuna delle ragioni sostenute dalle parti, e comunque errata".

Con l’odierno ricorso, vengono reiterate le censure di primo grado in forma strettamente embricata con le argomentazioni del TAR, e si insiste particolarmente sulla abrogazione implicita dell’art. 118 (non 119) del r. d. 965/1924 ad opera del successivo testo unico, che ha regolato tutta la materia senza riprodurlo, e della legge n. 121/1985 di ratifica del nuovo concordato, che ha cancellato la norma che ne costituiva il fondamento, cioè l’art. 1 dello Statuto Albertino.

In ogni caso – si sostiene – l’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche è incompatibile col principio costituzionale della laicità dello Stato.

2.- Resiste il Ministero della Istruzione, dell’Università e della Istruzione, il quale sostiene l’infondatezza dell’appello, e propone comunque ricorso incidentale condizionato avverso le statuizioni della sentenza, con le quali: a) è stata riconosciuta la giurisdizione del giudice amministrativo; b) è stato dichiarato ammissibile il ricorso, nonostante la mancata notifica ad almeno un controinteressato, e nonostante la ricorrente, in proprio, non fosse componente della vita scolastica, ed avesse proposto l’impugnativa quale genitrice dei due minori, senza il manifesto accordo del padre (che pure partecipò alla riunione del Consiglio di Classe), che è esercente la potestà; c) non è stato considerato che la mancata impugnativa dell’art. 118 del r.d. n. 965/1924 farebbe in ogni caso sopravvivere la contestata deliberazione del Consiglio di Istituto.

Si sono anche costituiti P. B., in proprio e quale genitore della minore L. B., e L. B., in qualità di Presidente dell’A.GE. (Associazione Italiana Genitori) di Padova, intervenuta in giudizio, i quali chiedono la riforma della sentenza impugnata nella parte in cui statuisce l’estromissione dal giudizio della A. GE. e ritiene ammissibile il ricorso, sebbene non notificato ad almeno un controinteressato.

Si è altresì costituita l’Associazione Forum, la quale chiede, con l’appello incidentale proposto, la reiezione del gravame e la riforma della sentenza nella parte in cui dichiara inammissibile il suo intervento, e non declina a favore del giudice ordinario la giurisdizione in un giudizio che ha per oggetto un diritto fondamentale della personalità. L’eccezione, come precisato in memoria, viene sviluppata in ricorso senza pervenire alla conclusione in calce allo stesso che l’impugnativa debba essere dichiarata inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. Per questo, si rimanda alla formale proposizione (in forma condizionata) della medesima eccezione da parte della Avvocatura dello Stato, e si invita la Sezione a pronunciarsi "anche ufficiosamente".

3.- Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’udienza del 13 gennaio 2006.

DIRITTO

1.- Il giudizio verte sulla legittimità della deliberazione del Consiglio di Istituto della scuola media statale "Vittorino da Feltre" di Abano Terme, con la quale è stata respinta la richiesta della ricorrente di rimuovere il crocefisso dalle aule scolastiche. Il TAR Veneto, con la sentenza appellata, ha respinto il ricorso, dichiarandolo infondato, dopo avere estromesso dal giudizio le due associazioni (A.GE. e Forum) che erano intervenute ad opponendum.

2.- Il Collegio deve darsi carico delle questioni preliminari che sono state sollevate dalle parti o sono rilevabili di ufficio.

In primo luogo, va verificato se sia ammissibile l’impugnativa proposta dalla sola ricorrente, quale esercente la potestà sui minori D. e S. A., senza la partecipazione dell’altro genitore.

In proposito, il Collegio rileva che il ricorso risulta proposto da uno solo dei due genitori, esercenti la potestà sui minori, a tutela di scelte educative che ciascun genitore può assumere, senza la necessità di un intervento dell’altro genitore. Proprio per la diretta inerenza del ricorso a scelte educative, non si configurano, infatti, gli estremi della straordinaria amministrazione, rispetto alla quale l’art.320 c.c. richiede l’azione congiunta di entrambi i genitori (cfr. Tar Calabria, sez. Reggio Calabria, 13 dicembre 1984, n. 287; Tar Abruzzo, sez. Pescara, 10 maggio 1984, n. 157).

In secondo luogo, deve essere affermata la giurisdizione del giudice amministrativo rispetto alla controversia in esame. La giurisdizione del giudice amministrativo è stata posta in discussione, nel corso del giudizio, dalla Amministrazione appellata e da una delle Associazioni intervenute (ed estromesse dal giudice di primo grado), le quali hanno sostenuto che la controversia avrebbe per oggetto la tutela di un diritto di libertà, diritto soggettivo perfetto, di competenza del giudice ordinario. Anche l’appellante ha richiamato questa qualificazione per la sua posizione soggettiva, pur concludendo a favore della giurisdizione amministrativa, perché il ricorso era stato proposto prima della sentenza n. 204/2004 della Corte Costituzionale (che ha ridimensionato la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi), e, in base all’art. 5 c.p.c., la sentenza della Corte non priverebbe di giurisdizione il giudice adito ritualmente alla stregua delle leggi in vigore al momento della proposizione del ricorso.

Il Collegio rileva che rispetto a situazioni di interesse che sono in relazione con diritti fondamentali della persona, come per esempio il diritto alla salute (che è stato oggetto di maggiore elaborazione giurisprudenziale), non si può e non si deve escludere a priori la sussistenza della giurisdizione amministrativa.

Quando la vertenza ha come oggetto la contestazione della legittimità dell’esercizio del potere amministrativo, ossia quando l’atto amministrativo sia assunto nel giudizio non come fatto materiale o come semplice espressione di una condotta illecita, ma sia considerato nel ricorso quale attuazione illegittima di un potere amministrativo, di cui si chiede l’annullamento, la posizione del cittadino si concreta come posizione di interesse legittimo.

Queste considerazioni sono state fatte proprie da tempo sia dalla giurisprudenza amministrativa che dalla Corte regolatrice della giurisdizione. Si veda, per esempio, Cass. sez. un. civ. 15 ottobre 1998, n. 10186, che, nel giudizio proposto a tutela del diritto alla salute in relazione a immissioni sonore prodotte da un’attività autorizzata dall’amministrazione, ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario "poiché l’azione … non investe nessun provvedimento amministrativo". Le Sezioni unite ribadiscono che la circostanza che il cittadino agisca lamentando la violazione della legge da parte dell’amministrazione - e nel caso in esame l’azione era proposta a tutela di un diritto fondamentale – non è discriminante ai fini della giurisdizione, risultando invece decisiva la circostanza che l’azione sia diretta (o meno) contro un provvedimento amministrativo. Questa conclusione è coerente con la giurisprudenza costante dei giudici amministrativi che riconoscono la giurisdizione amministrativa per vertenze, come quelle in tema di impianti per lo smaltimento dei rifiuti, o di altre opere rilevanti per la salubrità dell’ambiente, rispetto ai quali venga contestata la legittimità dei provvedimenti autorizzatori. La circostanza che in questi casi i ricorrenti facciano valere la possibilità di un pregiudizio alla salute non toglie nulla alla configurabilità di una posizione di interesse legittimo, e, conseguentemente, della giurisdizione amministrativa.

Va osservato, inoltre, che la concezione dei diritti "perfetti" o "non degradabili" è stata elaborata per riconoscere ulteriori possibilità di tutela per il cittadino, non certo per escludere forme di tutela preesistenti. Di conseguenza da tale concezione non si può desumere alcuna riduzione della legittimazione a ricorrere avanti al giudice amministrativo.

Deve essere tenuto presente, ancora, che in discussione sono atti riconducibili all’espressione di una potestà regolamentare dell’Amministrazione, potestà quindi tipicamente discrezionale. Rispetto a potestà del genere, la Corte regolatrice della giurisdizione, di recente, ha confermato che la tutela è devoluta al giudice amministrativo, anche se la controversia inerisca al diritto alla salute (Cass. Sez. un. 28.10.2005, n. 20994).

Risulta, pertanto, assorbita ogni questione relativa alla interpretazione dell’art. 5 c.p.c., di cui l’appellante propone una lettura difforme dagli orientamenti maggioritari della giurisprudenza sia civile che amministrativa.

In terzo luogo, va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso (già disattesa dal primo giudice) per essere stata omessa la notifica ad almeno uno dei controinteressati.

L’eccezione risulta infondata, perché dal tenore dell’atto impugnato non sono identificabili controinteressati in senso proprio.

In quarto luogo, diversamente da quanto statuito dal giudice di primo grado, devono ritenersi ammissibili gli interventi in giudizio proposti dalle due associazioni, Forum ed A. GE.

Non è dubbio che le due Associazioni, con il loro intervento, hanno manifestato un interesse simmetrico a quello della ricorrente, e, pertanto, ugualmente meritevole di essere fatto valere in giudizio. Un tale interesse è titolo sufficiente per intervenire in giudizio, senza la necessità di ulteriori specificazioni. L’utilità che può derivare alle due associazioni intervenute dalla conservazione dell’atto impugnato non è certamente di ordine patrimoniale, ma è parimenti di assoluto rilievo giuridico, perché è riconducibile al medesimo ordine di interessi, anche se di segno contrario, fatti valere dalla ricorrente.

Da ultimo, non può essere condivisa l’eccezione di inammissibilità formulata dalla difesa della Amministrazione, per il fatto che non sarebbe stato impugnato ritualmente l’art. 118 r.d. n. 965/1924, dal quale deriverebbe l’obbligo di esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche.

È sufficiente osservare che dal tenore del ricorso si coglie immediatamente come la contestazione sia proposta anche nei confronti della citata norma regolamentare, la cui impugnazione non richiedeva, d’altronde, formule sacramentali.

3.- Passando al merito, il ricorso è infondato.

L’appellante in via prioritaria reitera il rilievo, disatteso dal TAR, della abrogazione implicita della norma dell’art. 118 r. d. 1924 n. 965 (ritiene di non doversi parlare dell’art. 119 del r. d. n. 1297/1928 in quanto si riferisce alla scuola elementare, mentre i figli minori frequentano la scuola media), non essendo essa stata "riprodotta" dal t. u. del 1994, disciplinante l’intera materia, ed essendo altresì venuto meno il principio di confessionalità, sancito dall’art. 1 dello Statuto Albertino, che ne rappresentava il fondamento, in quanto tale norma statutaria non è stata ripresa dalla legge n. 121/1985 di attuazione dell’accordo di Villa Madama, diversamente da quanto avvenne con la legge 810 del 1929 di attuazione del Trattato del Laterano.

Circa la prima considerazione dell’appellante, vale quanto statuito dalla Corte Costituzionale sul carattere regolamentare della norma di cui all’art. 118 r. d. 1924 n. 965, che, come tale, non può ritenersi assorbita dal t. u. 1994 (giacché se tale fosse stata, la Corte non avrebbe potuto esimersi dal giudicare della sua legittimità), e neppure abrogata (e la stessa Corte nella sua ordinanza non ne ha mai messo in discussione la vigenza).

Quanto alla seconda considerazione, non pare corretto porre il principio di confessionalità dello Stato a fondamento della norma regolamentare in questione (sicché venuto meno quello sarebbe venuta meno la ragion d’essere di questa). È ben vero infatti che nel 1924, allorché la norma fu emanata vigeva in Italia lo Statuto Albertino, il cui art. 1 proclamava la religione cattolica, apostolica e romana come "la sola religione dello Stato" (gli altri culti essendo tollerati conformemente alle leggi); ma è altrettanto vero che tale norma non impedì minimamente al legislatore, nel corso di vari decenni, di adottare in molteplici settori della vita dello Stato una normativa contraria agli interessi della confessione cattolica, ed in dottrina ad alcuni autori, anche assai qualificati, di ascriverela Chiesa cattolica fra le associazioni illecite.

Il problema della vigenza dell’art. 118 r. d. 1924 n. 965 non può pertanto essere adeguatamente risolto attraverso la mancata menzione nell’accordo di Villa Madama di un principio (quello della confessionalità dello Stato), richiamato nel trattato del Laterano nel 1929 (vale a dire cinque anni dopo l’emanazione della norma stessa), ma va affrontato attraverso la verifica della compatibilità di quanto da esso disposto con i principi oggi ispiranti l’ordinamento costituzionale dello Stato, ed in particolare con il principio di laicità, invocato dalla stessa appellante.

Al riguardo, più volte la Corte costituzionale ha riconosciuto nella laicità un principio supremo del nostro ordinamento costituzionale, idoneo a risolvere talune questioni di legittimità costituzionale (ad esempio, tra le tante pronunce, quelle riguardanti norme sull’obbligatorietà dell’insegnamento religioso nella scuola, o sulla competenza giurisdizionale per le cause concernenti la validità del vincolo matrimoniale contratto canonicamente e trascritto nei registri dello stato civile).

Trattasi di un principio non proclamato expressis verbis dalla nostra Carta fondamentale; un principio che, ricco di assonanze ideologiche e di una storia controversa, assume però rilevanza giuridica potendo evincersi dalle norme fondamentali del nostro ordinamento. In realtà la Corte lo trae specificamente dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 Cost.

Il principio utilizza un simbolo linguistico ("laicità") che indica in forma abbreviata profili significativi di quanto disposto dalle anzidette norme, i cui contenuti individuano le condizioni di uso secondo le quali esso va inteso ed opera. D’altra parte, senza l’individuazione di tali specifiche condizioni d’uso, il principio di "laicità" resterebbe confinato nelle dispute ideologiche e sarebbe difficilmente utilizzabile in sede giuridica.

In questa sede, le condizioni di uso vanno certo determinate con riferimento alla tradizione culturale, ai costumi di vita, di ciascun popolo, in quanto però tale tradizione e tali costumi si siano riversati nei loro ordinamenti giuridici. E questi mutano da nazione a nazione.

Così non v’è dubbio che in un modo vada inteso ed opera quel principio nell’ordinamento inglese, laico, benché strettamente avvinto alla chiesa anglicana, nel quale è consentito al legislatore secolare dettare norme in materie interne alla chiesa stessa (esempio relativamente recente è dato dalla legge sul sacerdozio femminile); in altro modo nell’ordinamento francese, per il quale la laicità, costituzionalmente sancita (art. 2 Cost. del 1958), rappresenta una finalità che lo Stato potrà perseguire, e di fatto ha perseguito, anche con mortificazione dell’autonomia organizzativa delle confessioni (lois Combes) e della libera espressione individuale della fede religiosa (legge sull’ostensione dei simboli religiosi); in altro modo ancora nell’ordinamento federale degli Stati Uniti d’America, nel quale la pur rigorosa separazione fra lo Stato e le confessioni religiose, imposta dal I emendamento alla Costituzione federale, non impedisce un diffuso pietismo nella società civile, ispirato alla tradizione religiosa dei Padri pellegrini, che si esplica in molteplici forme anche istituzionali (da un’esplicita attestazione di fede religiosa contenuta nella carta moneta - in God we trust -, al largo sostegno tributario assicurato agli aiuti economici elargiti alle strutture confessionali ed alle loro attività assistenziali, sociali, educative, nell’orizzonte liberal privatistico tipico della società americana); in altro modo, infine, nell’ordinamento italiano, in cui quel simbolo linguistico serve ad indicare reciproca autonomia fra ordine temporale e ordine spirituale e conseguente interdizione per lo Stato di entrare nelle faccende interne delle confessioni religiose (artt. 7 e 8 Cost.); tutela dei diritti fondamentali della persona (art. 2), indipendentemente da quanto disposto dalla religione di appartenenza; uguaglianza giuridica fra tutti i cittadini, irrilevante essendo a tal fine la loro diversa fede religiosa (art. 3); rispetto della libertà delle confessioni di organizzarsi autonomamente secondo i propri statuti purché non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano (art. 8, 2° co.), e per tutti, e non solo per i cittadini, tutela della libertà in materia religiosa, e cioè di credere, non credere, di manifestare in pubblico o in privato la loro fede, di esercitarne il culto (art. 19); divieto, infine, di discriminare gli enti confessionali a motivo della loro ecclesiasticità e del fine di religione o di culto perseguito (art. 20). Dalle norme costituzionali italiane richiamate dalla Corte per delineare la laicità propria dello Stato si evince, inoltre, un atteggiamento di favore nei confronti del fenomeno religioso e delle confessioni che lo propugnano, avendo la Costituzione posto rilevanti limiti alla libera esplicazione della attività legislativa dello Stato in materia di rapporti con le confessioni religiose; attività che potrà praticarsi ordinariamente soltanto in forma concordata sia con la religione di maggioranza sia con le altre confessioni religiose (art. 7, 2° co., e art. 8, 3° co.).

Ne deriva che la laicità, benché presupponga e richieda ovunque la distinzione fra la dimensione temporale e la dimensione spirituale e fra gli ordini e le società cui tali dimensioni sono proprie, non si realizza in termini costanti nel tempo e uniformi nei diversi Paesi, ma, pur all’interno di una medesima "civiltà", è relativa alla specifica organizzazione istituzionale di ciascuno Stato, e quindi essenzialmente storica, legata com’è al divenire di questa organizzazione (in modo diverso, ad esempio, dovendo essere intesa la laicità in Italia con riferimento allo Stato risorgimentale, ove, nonostante la confessionalità di principio dello stesso, proclamata dallo Statuto fondamentale del Regno, furono consentite discriminazioni restrittive in danno degli enti ecclesiastici, e con riferimento allo Stato odierno, sorto dalla Costituzione repubblicana, ed ormai non più confessionale, ove però quelle discriminazioni non potrebbero aversi).

Quale poi dei sistemi giuridici ora ricordati, o di altri ancora qui non considerati, sia meglio rispondente ad un’idea astratta di laicità, che alla fine coincide con quella che ciascuno trova più consona con i suoi postulati ideologici, è questione antica; una questione che però va lasciata alle dispute dottrinarie.

In questa sede giurisdizionale, per il problema innanzi ad essa sollevato della legittimità della esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche, disposto dalle autorità competenti in esecuzione di norme regolamentari, si tratta in concreto e più semplicemente di verificare se tale imposizione sia lesiva dei contenuti delle norme fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, che danno forma e sostanza al principio di "laicità" che connota oggi lo Stato italiano, ed al quale ha fatto più volte riferimento il supremo giudice delle leggi.

È evidente che il crocifisso è esso stesso un simbolo che può assumere diversi significati e servire per intenti diversi; innanzitutto per il luogo ove è posto.

In un luogo di culto il crocifisso è propriamente ed esclusivamente un "simbolo religioso", in quanto mira a sollecitare l’adesione riverente verso il fondatore della religione cristiana.

In una sede non religiosa, come la scuola, destinata all’educazione dei giovani, il crocifisso potrà ancora rivestire per i credenti i suaccennati valori religiosi, ma per credenti e non credenti la sua esposizione sarà giustificata ed assumerà un significato non discriminatorio sotto il profilo religioso, se esso è in grado di rappresentare e di richiamare in forma sintetica immediatamente percepibile ed intuibile (al pari di ogni simbolo) valori civilmente rilevanti, e segnatamente quei valori che soggiacciono ed ispirano il nostro ordine costituzionale, fondamento del nostro convivere civile. In tal senso il crocifisso potrà svolgere, anche in un orizzonte "laico", diverso da quello religioso che gli è proprio, una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni.

Ora è evidente che in Italia, il crocifisso è atto ad esprimere, appunto in chiave simbolica ma in modo adeguato, l’origine religiosa dei valori di tolleranza, di rispetto reciproco, di valorizzazione della persona, di affermazione dei suoi diritti, di riguardo alla sua libertà, di autonomia della coscienza morale nei confronti dell’autorità, di solidarietà umana, di rifiuto di ogni discriminazione, che connotano la civiltà italiana.

Questi valori, che hanno impregnato di sé tradizioni, modo di vivere, cultura del popolo italiano, soggiacciono ed emergono dalle norme fondamentali della nostra Carta costituzionale, accolte tra i "Principi fondamentali" e la Parte I della stessa, e, specificamente, da quelle richiamate dalla Corte costituzionale, delineanti la laicità propria dello Stato italiano.

Il richiamo, attraverso il crocifisso, dell’origine religiosa di tali valori e della loro piena e radicale consonanza con gli insegnamenti cristiani, serve dunque a porre in evidenza la loro trascendente fondazione, senza mettere in discussione, anzi ribadendo, l’autonomia (non la contrapposizione, sottesa a una interpretazione ideologica della laicità che non trova riscontro alcuno nella nostra Carta fondamentale) dell’ordine temporale rispetto all’ordine spirituale, e senza sminuire la loro specifica "laicità", confacente al contesto culturale fatto proprio e manifestato dall’ordinamento fondamentale dello Stato italiano. Essi, pertanto, andranno vissuti nella società civile in modo autonomo (di fatto non contraddittorio) rispetto alla società religiosa, sicché possono essere "laicamente" sanciti per tutti, indipendentemente dall’appartenenza alla religione che li ha ispirati e propugnati.

Come ad ogni simbolo, anche al crocifisso possono essere imposti o attribuiti significati diversi e contrastanti, oppure ne può venire negato il valore simbolico per trasformarlo in suppellettile, che può al massimo presentare un valore artistico. Non si può però pensare al crocifisso esposto nelle aule scolastiche come ad una suppellettile, oggetto di arredo, e neppure come ad un oggetto di culto; si deve pensare piuttosto come ad un simbolo idoneo ad esprimere l’elevato fondamento dei valori civili sopra richiamati, che sono poi i valori che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato.

Nel contesto culturale italiano, appare difficile trovare un altro simbolo, in verità, che si presti, più di esso, a farlo; e l’appellante del resto auspica (e rivendica) una parete bianca, la sola che alla stessa appare particolarmente consona con il valore della laicità dello Stato.

La decisione delle autorità scolastiche, in esecuzione di norme regolamentari, di esporre il crocifisso nelle aule scolastiche, non appare pertanto censurabile con riferimento al principio di laicità proprio dello Stato italiano.

La pretesa che lo Stato si astenga dal presentare e propugnare in un luogo educativo, attraverso un simbolo (il crocifisso), reputato idoneo allo scopo, i valori certamente laici, quantunque di origine religiosa, di cui è pervasa la società italiana e che connotano la sua Carta fondamentale, può semmai essere sostenuta nelle sedi (politiche, culturali) giudicate più appropriate, ma non in quella giurisdizionale.

In questa sede non può, quindi, trovare accoglimento la richiesta dell’appellante che lo Stato e i suoi organi si astengano dal fare ricorso agli strumenti educativi considerati più efficaci per esprimere i valori su cui lo Stato stesso si fonda e che lo connotano, raccolti ed espressi dalla Carta costituzionale, quando il ricorso a tali strumenti non solo non lede alcuno dei principi custoditi dalla medesima Costituzione o altre norme del suo ordinamento giuridico, ma mira ad affermarli in un modo che sottolinea il loro alto significato.

In conclusione, va respinto l’appello principale, e vanno accolti gli appelli incidentali delle associazioni A. GE. e Forum nella parte in cui reclamano l’ammissibilità del loro intervento in giudizio .

Le spese e gli onorari di giudizio possono essere compensati.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, ammette l’intervento in giudizio delle Associazioni A. GE. e Forum, e respinge il ricorso in epigrafe. Compensa le spese.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2006

Depositata in Segreteria il 13 febbraio 2006