mercoledì 11 novembre 2009

Scandroglio: proposta di legge in difesa del crocifisso nelle scuole

RELAZIONE ILLUSTRATIVA
Onorevoli colleghi!
Con la presente proposta di legge si vuole dare il giusto significato, ai due simboli della nostra storia democratica e della nostra cultura comune, simboli che ne rappresentano la sintesi, i valori ed il portato, sono cioè la tradizione stessa della nostra Patria: il Crocifisso e il Presidente della Repubblica.
Il Presidente della Repubblica non è certo solo un uomo politico, né una semplice istituzione, ma costituisce l’incarnazione dell’unità d’Italia nonché della matrice democratica e pluralista della nostra Repubblica. Parimenti, il Crocifisso non rileva solamente in quanto simbolo religioso, e certamente non merita tutela legislativa in quanto simbolo religioso oltre l’ovvio e necessario rispetto che deve essere tributato a ogni simbolo religioso: il crocifisso è sopratutto il simbolo delle nostre radici giudaico-cristiane, della nostra cultura, quella profonda che permea tutti le azioni della nostra vita. Ogni persona, qualunque religione professi, anche atea, non può non identificarsi nel crocifisso in quanto si riconosce nell’essere parte della comunità nazionale.
In un momento storico in cui talune correnti di pensiero ritengono che ogni valore, e, quindi ogni simbolo, possa essere “negoziabile” e abbia un significato sempre e solo “relativo”, questa proposta di legge vuole precisare e ribadire una scelta chiara della nostra collettività: esistono simboli che rappresentano valori essenziali, fondanti, non negoziabili.
La Costituzione stabilisce l’immutabilità della forma repubblicana dello Stato e scolpisce, nella sua prima parte, una lista di diritti e di principi del tutto coessenziali alla vita e all’esistenza dell’Italia repubblicana.
Orbene, il Crocifisso va mostrato in tutti gli uffici pubblici e in tutte le aule scolastiche in quanto esso rappresenta la tradizione giudaico-cristiana dalla quale sono scaturiti i vigenti diritti fondamentali, costituisce il crogiolo culturale nel quale si è formata la nozione stessa di libertà quale noi oggi la conosciamo: senza il cristianesimo, semplicemente, non esisterebbero le società “occidentali”, non esisterebbe l’Italia. Il Presidente della Repubblica, è il simbolo della scelta esercitata dal popolo italiano il 2 giugno 1946, egli è l’elemento che, per primo, contraddistingue la “forma repubblicana” dello Stato – un dato non “revisionabile” e dunque “non negoziabile”: si tratta della sintesi della Carta costituzionale del 1948.
Oggi, per fortuna, tutti possono manifestare liberamente le proprie opinioni, su ogni argomento e qualunque esse siano: proprio quando ci si accinge ad esercitare tale fondamentale ed inalienabile diritto si accetta implicitamente un quadro giuridico e valoriale che trova i propri simboli nel Crocifisso e nel Presidente della Repubblica. Proprio quando si contesta ogni istituzione, ogni religione, ogni valore, si esercita il sacrosanto diritto alla manifestazione del pensiero, il quale diritto è stato forgiato dalla tradizione giudaico-cristiana ed è tutelato dalla nostra Repubblica.
Per questi motivi, in ogni ufficio pubblico e in ogni aula scolastica devono essere presenti sia il ritratto del Presidente della Repubblica sia il Crocifisso: per dimostrare anche visivamente che l’autorità pubblica viene esercitata – e l’educazione viene impartita – nel nome dei valori non negoziabili di libertà individuale e di democrazia.

Michele Scandroglio PdL

La proposta di legge:

Disposizioni per la tutela dei simboli della tradizione e dell’unità della Patria negli uffici pubblici

Art. 1 Simboli della tradizione e dell’unità della Patria.
1. Il crocifisso è il simbolo della tradizione culturale della Patria italiana.
2. Il Presidente della Repubblica è l’istituzione che rappresenta e simboleggia il Paese e l’unità della Patria italiana.

Art. 2 Presenza dei simboli della tradizione e dell’unità della Patria negli uffici pubblici.
1. Il ritratto fotografico del Presidente della Repubblica e il crocifisso devono essere presenti in tutti gli uffici pubblici e in tutte le aule delle scuole pubbliche di ogni ordine e grado.
2. Il dirigente dell’ufficio o dell’istituzione scolastica è responsabile, anche sotto il profilo disciplinare, del puntuale adempimento della prescrizione di cui al comma 1.

Art. 3 Entrata in vigore.
1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.



lunedì 22 giugno 2009

Riordinamento dell'Amministrazione Superiore della Pubblica Istruzione (Legge 2328 del 22/06/1857)

N.° 2328.

VITTORIO EMANUELE II
re di sardegna, di cipro e di gerusalemme,
duca di savoia e di genova, ecc. ecc.,
principe di piemonte, ecc. ecc. ecc.


Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato;
Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue:

CAPO I.
Disposizioni generali.

Art. 1.

L’insegnamento è o pubblico o privato.
Il Ministro della pubblica istruzione governa il primo e ne promuove l’incremento; sopravveglia il secondo a tutela della morale, dell’igiene, delle istituzioni dello Stato e dell’ordine pubblico.

Art. 2.

L’insegnamento pubblico si divide in tre rami: elementare, secondario, superiore.

Art. 3.

Per determinare quali sieno le scuole pubbliche e quali le private si osserveranno intanto le disposizioni legislative in vigore.

Art. 4.

Dipendono dal Ministro gli istituti e le scuole pubbliche d’istruzione e di educazione, e tutte le podestà preposte alla direzione ed ispezione dei medesimi nell’ordine statuito in questa legge.
Sono eccettuati gli istituti e le scuole militari e quelle di nautica dipendenti dal Ministro di guerra e marina.

Art. 5.

Nelle scuole pubbliche affidate a corporazioni religiose riconosciute, dallo Stato, i direttori, i professori, i maestri, le direttrici e le maestre saranno proposti da esse ed approvati dalle podestà che regolano la pubblica istruzione, quando siano trovati idonei. Dovranno perciò sostenere gli esami e conformarsi alle altre condizioni prescritte dalle leggi e dai regolamenti in vigore, salvo il disposto dell’articolo 7 per quanto riguarda le scuole private dipendenti dalle corporazioni suddette.

Art. 6.

Spetta unicamente alle podestà dalle leggi preposte alla pubblica istruzione di provvedere alle discipline delle scuole pubbliche, alla collazione dei gradi, alla scelta ed approvazione dei dottori delle Facoltà univer­sitarie, dei direttori, professori e maestri nelle scuole soggette al Ministero della pubblica istruzione.

Art. 7.

Le leggi speciali che provvederanno all’istruzione superiore, secondaria ed elementare, stabiliranno le condizioni per l’insegnamento privato, e le norme secondo le quali avrà ad esercitarsi sovr’esso la vigilanza del Governo.
Nelle stesse leggi saranno determinate le condizioni sta le quali le Amministrazioni provinciali e comunitative avranno parte effettiva nel governo delle proprie scuole ed istituti.
Non pertanto i cittadini, i quali faranno constare avere i requisiti voluti dalle leggi vigenti per essere eletti ad insegnare nei pubblici instituti di istruzione secondaria ed elementare, potranno d’ora innanzi aprire e tenere istituti privati del ramo e del grado per cui avranno la richiesta idoneità legale.

Art. 8.

Fino alla promulgazione delle predette leggi speciali, tutte le scuole e gli istituti privati d’istruzione, di educazione, maschili o femminili, retti da secolari o da ecclesiastici, dovranno conformarsi alle leggi in vigore.
Il Ministro della pubblica istruzione continuerà a vigilarli col mezzo dei suoi ufficiali o di altre persone da lui delegate; e qualora i direttori di quegli instituti ricusino di conformarsi o di fatto non si conformino a quelle leggi, potrà ordinarne il chiudimento, con suo decreto e col previo assenso del Consiglio superiore, udite le difese del direttore incolpato.
Tuttavia, in caso d’urgenza, per riparare a scandali o a gravi disordini, il Ministro, udito il parere del Consiglio superiore, potrà frattanto sospendere di propria autorità il direttore dal suo ufficio ed anche chiudere la scuola o l’instituto sino a provvedimento definitivo da emanare prontamente in conformità dell’alinea precedente.

Art. 9.

Gli studi fatti nei seminari e nei collegi vescovili od in ogni altro instituto ecclesiastico o religioso di qualsivoglia denominazione, i quali non siano esclusivamente per giovani destinati alla carriera sacerdotale, ove non si uniformino alle discipline vigenti per gli istituti pubblici di educazione e d’istruzione, non avranno valore per l’ammessione ai corsi, agli esami ed ai gradi nelle scuole dipendenti dal Ministero di pubblica istruzione.
In ogni caso tali stabilimenti andranno soggetti alla vigilanza governativa.

Art. 10.

Negli istituti e nelle scuole pubbliche la religione cattolica sarà fondamento dell’istruzione e dell’educazione religiosa.
Nelle leggi speciali e nei regolamenti relativi all’insegnamento si determineranno le cautele da osservarsi nella direzione ed istruzione religiosa degli alunni cattolici.
Per gli acattolici ne sarà lasciata la cura ai rispettivi parenti.


CAPO II.

§ 1.

Delle Podestà preposte alla pubblica istruzione.

Art. 11.

È instituito sotto la presidenza del Ministro un Consiglio superiore di pubblica istruzione.
Sono applicati al Ministero dell’istruzione pubblica un consultore legale, un ispettore generale per le scuole secondarie, un ispettore generale per le scuole magistrali ed elementari.
Sono pure posti a disposizione dei Ministro due ispettori delle Scuole secondarie, di cui uno per la parte scientifica, e l’altro per la parte letteraria.
Alle scuole tecniche provvederà il Ministro con ispezione speciale.
Nei capoluoghi delle provincie risiederà una Deputazione provinciale per le scuole, un regio provveditore agli studi ed un ispettore provinciale per le scuole elementari.
Ogni mandamento o più mandamenti insieme avranno un provveditore mandamentale.

§ 2.

Del Consiglio superiore di pubblica istruzione.

Art. 12.

Il Consiglio superiore di pubblica istruzione è composto di quindici consiglieri, dei quali dieci sono ordinari e cinque straordinari
I dieci consiglieri ordinari sono nominati dal Re e di questi, e di questi, due almeno non debbono appartenere alla pubblica istruzione.
I cinque straordinari sono scelti pure dal Re sopra una terna proposta da ciascuna delle cinque Facoltà dell’Università di Torino.
I soli consiglieri ordinari sono retribuiti.

Art. 13.

Dei Consiglieri la quinta parte è rinnovata ogni anno, per modo che regolarmente due ordinari ed uno straordinario escano d’ufficio.
Nei quattro primi anni dopo quello della prima elezione, i tre consiglieri che dovranno uscire annualmente saranno designati per sorte; successivamente usciranno i tre più anziani d’uffizio.
Gli usciti possono essere rieletti.

Art. 14.

Il vice‑presidente è annualmente eletto dal Re fra i componenti il Consiglio.
In mancanza del presidente e del vice‑presidente il consigliere più anziano ne fa le veci.
Un ufficiale del Ministero di pubblica istruzione esercita nel Consiglio l’ufficio di segretario.
Per la validità delle deliberazioni si richiede la presenza di otto consiglieri.

Art. 15.

Ogni volta che il Ministro od il Consiglio lo giudichi opportuno, intervengono alle adunanze del Consiglio il consultore e gl’ispettori generali, ma senza voto.
Similmente possono intervenirvi chiamati, e con i presidi delle Facoltà, ove si tratti di modificazioni nei corsi, negli ­studi è nei programmi della propria Facoltà.

Art. 16.

Il Ministro od il Consiglio possono chiamare alle adunanze quelle persone, il cui avviso riputeranno utile in qualche discussione. In nessun caso il loro avviso sarà computato nel numero de’ voti del Consiglio.

Art. 17.

Richiesto dal Ministro, il Consiglio compone ed esamina le proposte di leggi, i decreti e regolamenti relativi alla pubblica istruzione, e dà il suo parere in qualsiasi altra materia sopra l’insegnamento e l’amministrazione.

Art. 18.

Esamina e propone all’approvazione del Ministro i libri ed i trattati destinati al pubblico insegnamento ed i programmi degli studi.

Art. 19.

Esamina pure i titoli degli aspiranti alle cattedre vacanti nelle Università del Regno.

Art. 20.

Il Consiglio dà il suo parere:
1.° Sui dubbi emergenti circa la retta intelligenza e l’applicazione delle leggi della pubblica istruzione;
2.° Sui conflitti di competenza tra le Autorità preposte all’amministrazione della pubblica istruzione;
3.° Sui regolamenti degli esami di concorso, sulla instituzione di collegi, di convitti, e su tutto quanto concerne l’ordinamento generale degli studi, e la distribuzione delle materie fra le diverse parti dell’insegnamento e le diverse cattedre.
Per gli oggetti compresi nel precedente numero 5, e per gli altri dell’art. 18, può il Consiglio chiedere l’avviso dei corpi scientifici, o d’uomini di speciale dottrina, ed instituire apposite Commissioni.

Art. 21.

Dà pure il suo parere sui mancamenti e sulle colpe imputate ai direttori e professori delle scuole secondarie e magistrali che abbiano compiuto il triennio, se le colpe siano tali da meritare la deposizione o la sospensione oltre due mesi.
Gli imputati hanno sempre il diritto di essere uditi nelle loro difese o verbalmente od in iscritto a loro scelta.

Art. 22.

Può il Consiglio, di proprio moto, proporre al Ministro quei provvedimenti che stimi utili all’incremento ed al buon indirizzo degli studi.

Art. 23.

Il Consiglio giudica dei mancamenti e delle colpe imputati ai professori delle scuole universitarie ed ai dottori aggregati, quando essi possano farli incorrere nella deposizione o sospensione, udite le difese dell’incolpato, come nell’alinea dell’art. 24.
Saranno con legge definiti i mancamenti e le colpe punibili colle pene anzidette, e determinati gli effetti delle medesime.

Art. 24.

Può tuttavia il Ministro, ne’ casi d’urgenza, o per riparare a grave scandalo, sospendere di sua autorità un professore universitario sino a provvedimento da emanare prontamente dal Consiglio superiore in conformità dell’articolo precedente.

Art. 25.

Il Consiglio conosce in via d’appello dell’esclusione e della interdizione temporaria dai corsi degli studi, pronunciata contro gli studenti delle Università e delle scuole secondarie e magistrali.

Art. 26.

Allo spirare d’ogni quinquennio il Consiglio superiore presenta al Ministro una relazione generale dello stato di ciascuna parte dell’istruzione, colle osservazioni e proposte che stimerà convenienti.
A tal fine sono comunicati al Consiglio i rapporti annuali degli ispettori, delle podestà universitarie, delle deputazioni provinciali e dei presidi e’ direttori degli studi nei collegi.
La relazione sarà fatta di pubblica ragione.

§ 3.

Del Consultore.

Art. 27.

Il consultore è eletto dal Re.

Art. 28.

Egli dà il suo avviso sulle domande di ammissioni eccezionali ai corsi degli studi ed agli esami, di dispense da questi o dal pagamento de’ rispettivi depositi, o di restituzione de’ medesimi, e in generale su tutti i dubbi che possono sorgere circa l’intelligenza ed applicazione delle leggi e dei regolamenti.

Art. 29.

Per delegazione espressa del Ministro riferisce al Consiglio superiore i mancamenti e le colpe per cui i professori delle scuole universitarie od i dottori aggregati possono rendersi passibili della sospensione o della deposizione.
Egli è chiamato nel seno del Consiglio ogniqualvolta gli incolpati v’intervengono per essere uditi nelle loro difese.

Art. 30.

Sarà udito nel Consiglio superiore sui ricorsi introdotti avanti ad esso dagli studenti contro a’ quali sarà stata pronunciata la pena di esclusione o d’interdizione temporanea dalle scuole.

Art. 31.

Rappresenta al Ministro le violazioni delle leggi e della disciplina delle Università.

§ 4.

Degli Ispettori generali.

Art. 32.

Gli ispettori generati sono eletti dal Re.

Art. 33.

Essi vegliano, ciascuno per la sua parte, l’andamento della pubblica istruzione; mantengono fermo l’indirizzo degli studi, dando a nome e sotto gli ordini del Ministro gli schiarimenti e le istruzioni convenienti ai regii provveditori, a tenore delle leggi e dei regolamenti.

Art. 34.

Propongono al Ministro le nomine delle Commissioni esaminatrici, le promozioni e le nomine degli insegnanti, le onoranze da conferirsi ai medesimi, le censure e punizioni alle quali possa dar cagione la loro condotta.

Art. 35.

Per delegazione espressa del Ministro introducono dinnanzi al Consiglio superiore le accuse contro i direttori ed i professori delle scuole secondarie e magistrali, quando siano di tale gravità da portare la deposizione o sospensione oltre i due mesi.

Art. 36.

Ciascuno di essi provvede personalmente, o per mezzo degli ufficiali che gli sono subordinati, alla visita di tutte le scuole e di tutti gl’instituti pubblici e privati, dei quali è preposto.
Solo il Ministro può delegare queste visite anche a persone estranee al dipartimento della pubblica istruzione.
L’ispezione però dei collegi e convitti nazionali è specialmente affidata all’ispettore generale delle scuole secondarie, e l’ispezione delle scuole magistrali all’ispettore generale delle scuole magistrali ed elementari.

Art. 37.

Gli ispettori generali, fondandosi sopra i rapporti degli ufficiali subalterni della pubblica istruzione, compilano annualmente e mandano al Ministro una relazione dello stato di ciascuna parte d’insegnamento posta sotto la loro vigilanza, colle avvertenze opportune.
A cura degli stessi ispettori generali sono raccolti i materiali per formare e pubblicare ogni anno uno specchio delle parti dell’istruzione, alle quali ciascun di loro è preposto.
Tale specchio deve essere pubblicato entrò, primo semestre susseguente all’anno cui esso si riferisce.

§ 5.

Delle Deputazioni Provinciali per le scuole.

Art. 38.

La deputazione provinciale per le scuole è composta:
Dell’intendente che ne è presidente;
Del regio provveditore che ne è vice‑presidente;
Di tre delegati del Consiglio provinciale amministrativo scelti da questo fra i suoi componenti od anche fuori del suo Corpo fra le persone chiare per coltura letteraria o scientifica;
Di un delegato del Consiglio comunale della Città capoluogo;
Dell’ispettore provinciale delle scuole elementari;
Del direttore degli studi secondari o di chi ne fa le veci nel collegio principale stabilito nel capoluogo;
Del direttore spirituale o del professore di religione;
Di un professore della scuola magistrale o d’un maestro delle scuole elementari, eletti ogni anno dal Ministro.
L’ufficio dei membri della deputazione provinciale per le scuole è gratuito.

Art. 39.

I tre delegati del Cosiglio provinciale ed il delegato del Consiglio comunale sono annualmente eletti a pluralità assoluta di suffragi dal rispettivo Consiglio.

Art. 40.


Il segretario dell’uffizio d’Intendenza sarà segretario della deputazione provinciale.

Art. 41.

La deputazione per le scuole si raduna una volta al mese ed in giorno determinato per cura del suo presidente o del vice-presidente.
Essa è pur convocata ogni volta che il presidente o chi ne fa le veci lo stimi necessario.

Art. 42.

La deputazione provinciale attende all’esatta osser­vanza delle leggi e dei regolamenti nelle scuole secondarie, magistrali ed elementari della provincia.

Art. 43.

Ordina visite straordinarie negli instituti d’educazione della provincia, a ciò delegando uno o più dei suoi membri, qualora abbia prove o indizi d’irregolarità o di disordine.
Avverate le cose delibera i provvedimenti opportuni e li propone al Ministro, quando eccedano le facoltà della deputazione medesima.
Nel caso d’urgenza può subito provvedere chiudendo temporaneamente gl’instituti e le scuole ove fossero accaduti gravi disordini, col darne poi conto al Ministro; salvo sempre il disposto dell’art. 8 rispetto alle scuole ed agli instituti privati.

Art. 44.

Sulla proposta dei Consigli comunitativi essa approva i maestri e le maestre delle scuole elementari dipendenti da questi Consigli; propone ai medesimi gli aumenti di stipendio, l’apertura di nuove scuole, la provvista degli arredi necessari, e tutto che può migliorare la condizione delle scuole e degl’insegnanti.
Propone eziandio le spese per l’istruzione, giusta le vigenti leggi, all’autorità amministrativa competente, affinché essa provvegga, ove faccia mestieri, allo stanziamento di quelle spese nel bilancio del comune.

Art. 45.

Decide le controversie tra le amministrazioni comunative e gl’insegnanti, in quanto all’adempimento delle obbligazioni scolastiche.

Art. 46.

Delibera sull’ammissione ai corsi degli studi ed agli esami delle scuole secondarie, magistrali ed elementari, quando i regolamenti offrono nell’applicazione argomento di dubbietà.

Art. 47.

Pei casi contemplati nei due precedenti articoli, è sempre riservato il ricorso al Ministro.

Art. 48.

Prende le necessarie informazioni per verificare le colpe ed mancamenti imputati ai maestri ed alle maestre delle scuole elementari, che possono dare motivo a deposizione od a sospensione; e dopo udite le loro difese, ne ragguaglia, col suo avviso, il Ministro per gli ulteriori provvedimenti.

Art. 49.

Provvede alle domande di congedo degl’insegnanti, nei limiti stabiliti dai regolamenti; propone al Ministro le promozioni, i sussidi, le gratificazioni e le onorificenze di cui gli insegnanti siano meritevoli.

Art. 50.

Sottopone al Ministro, contro gli ispettori provinciali, ed i professori delle scuole secondarie e magistrali, le accuse che importano censura, sospensione o deposizione.

Art. 51.

Esamina i materiali statistici riguardanti l’istruzione pubblica e privata della provincia, e li trasmette annualmente al Ministro colle sue avvertenze.

§ 6.

Del Regio Provveditore agli studi.

Art 52.

Il regio provveditore gli studi nel capoluogo di provincia è eletto dal Re.

Art. 53.

Egli invigila sopra tutti gli uffiziali della provincia posti alla istruzione ed alla direzione di instituti educativi, acciocchè adempiano i loro obblighi ed osservino le leggi ed i regolamenti.

Art. 54.

Fa eseguire gli ordini relativi alla Pubblica istruzione e le deliberazioni della deputazione provinciale.

Art. 55.

Carteggia direttamente col Ministro, veglia sopra tutte le scuole pubbliche e private della provincia, ri­chiamandovi all’uopo l’osservanza delle vigenti discipline, e promuove dalla deputazione provinciale e dal Ministro gli opportuni Provvedimenti..

Art. 56.

Almeno una volta l’anno visita egli stesso tutte le scuole secondarie della provincia, ed eseguisce o fa eseguire da qualcuno della deputazione provinciale una tale visita in tutti gli altri instituti d’istruzione e di educazione.

Art. 57.

Deve essere sua cura che l’ispettore provinciale delle scuole elementari adempie il suo dovere, e dà a lui ed ai provveditori mandamentali gli ordini e istruzioni necessarie.

Art. 58­.

Concede l’approvazione di esercizio locale ai maestri ed alle maestre di scuole pubbliche elementari, dopo fatta l’elezione regolarmente.

Art. 59.

Invigila per l’adempimento dei lasciti pii a favore dell’istruzione, e nel caso di qualsivoglia trasgressione ne fa rapporto al Ministro.

Art. 60.

Nei casi d’urgenza è abilitato a tutti i provvedimenti che stimerà necessari, ma non saranno reputati definitivi finché non abbiano ottenuto l’approvazione dei superiori.

§ 7.

Dei Provveditori mandamentali agli studi.

Art. 61.

I provveditori mandamentali sono eletti dal Ministro sulla proposta del regio provveditore della rispettiva provincia.
L’ufficio loro è gratuito.
Hanno tuttavia diritto ad una indennità per ispese d’ufficio e di­ viaggi, la quale non potrà mai eccedere le lire 100.

Art. 62.

I Provveditori mandamentali vegliano l’osservanza delle leggi e dei regolamenti nelle scuole e convitti del proprio distretto: hanno obbligo di visitarli una volta all’anno ed ogni volta che ne ricevano incarico dal regio provveditore al quale debbono farne relazione.
Tengono carteggio col regio provveditore dal quale dipendono ed eseguiscono tutte le incumbenze che da esso vengono loro commesse nell’interesse del servizio pubblico cui sono preposti.
Aiutano l’ispettore provinciale nella compilazione dello specchio delle scuole e degli istituti.

§ 8.

Degli Ispettori provinciali delle scuole elementari.

Art. 63.

In ciascuna provincia è un ispettore per le scuole elementari.
Il Ministro può eleggere un solo ispettore per due o tre provincie limitrofe, quando lo richieggano i rispettivi Consigli provinciali.

Art. 64.

Niuno può essere eletto ispettore provinciale per le scuole elementari, se almeno non ha cinque anni d’insegnamento.

Art. 65.

La vigilanza degl’ispettori provinciali abbraccia tutti gl’istituti pubblici e privati, aventi per fine l’istruzione e l’educazione elementare.
La loro visita annuale non deve durar meno di sette mesi per ciascun anno.

Art. 66.

Oltre alle visite ordinarie annuali, debbono fare altresì tutte quelle straordinarie che loro ordinasse il Ministro, il regio provveditore, o la deputazione provinciale.

Art. 67.

Distendono una relazione delle visite ordinarie annuali, la quale, per mezzo del regio provveditore, è comunicata alla deputazione provinciale perché vi apponga le sue note, e quindi trasmessa al Ministro.
D’ogni visita straordinaria formano un rapporto speciale diretto a chi l’ha prescritta.

Art. 68.

Ogni anno compongono una specchio particolareggiato delle condizioni in cui si trovano le scuole elementari maschili e femminili, e gli asili d’infanzia del proprio distretto, il quale, mediante il regio provveditore, è partecipato alla deputazione provinciale.

Art. 69.

Un regolamento stabilirà il modo di fare le visite delle scuole sì private che pubbliche, e di compilare uniformemente la statistica delle medesime.

Art. 70.

Gl’ispettori possono con speciale permissione del Ministro attendere ad altre cure relative all’istruzione. Ogni altro impiego e l’esercizio di qualunque professione sono incompatibili.


CAPO III.

Disposizioni generali.

Art. 71.

Gli stipendi dei membri ordinari del Consiglio Superiore, del consultore, dei due ispettori generali, dei due ispettori delle scuole secondarie, e gli onorari dei regii provveditori agli studi sono a carico dello Stato.
Tali stipendi ed onorari sono regolati dalla tabella annessa alla presente legge.

Art. 72.

Parimente sono a carico dello Stato:
1.° Le spese d’ufficio pei regi provveditori e per la retribuzione dei loro segretari, i quali saranno impiegati straordinari da eleggersi dai provveditori stessi coll’assentimento del Ministro;
2.° Le spese dei viaggi che si faranno d’ufficio, od in virtù di speciale incarico, per le visite delle scuole e dei collegi, secondo le norme da darsi con particolare regolamento.

Art. 73.

Lo stipendio e le spese di viaggio degl’ispettori provinciali sono a carico della provincia.
Le spese d’ufficio per i provveditori mandamentali sono a carico dei comuni componenti i rispettivi mandamenti.


CAPO IV.

Disposizioni transitorie.

Art. 74.

Sono aboliti il Consiglio superiore di pubblica istruzione, i Consigli universitari, le Commissioni permanenti per le scuole secondarie, il Consiglio generale per le scuole tecniche ed elementari, i Consigli provinciali per le scuole elementari, e le cariche di rettore e di consultore nelle Università, d’ispettore generale della Sardegna per le scuole elementari, e degli ispettori per le scuole secondarie, creati dalla legge 4 ottobre 1848.

Art. 75.

Tuttavia il Consiglio superiore ed i Consigli provinciali d’istruzione restano in ufficio finchè non siano rinnovati in conformità della legge presente.
Ad essi sono temporaneamente e rispettivamente devolute le facoltà e le cure conferite da questa legge al nuovo Consiglio superiore ed alle deputazioni provinciali.

Art. 76.

Fino alla promulgazione di una legge sopra l’insegnamento superiore, le incumbenze delle podestà universitarie abolite coll’art. 74, e che da questa legge non sono demandate ad altre podestà, saranno esercitate in ciascuna Università secondo le norme da stabilirsi in apposito regolamento; per la parte amministrativa e disciplinare, da un rettore scelto dal Re, e per la parte accademica, dai Consigli delle Facoltà.
Sarà pure ogni anno eletto dal Re un vice‑rettore fra i professori effettivi delle Facoltà.
Egli coadiuverà, il rettore nell’adempimento delle sue funzioni, ed in caso d’impedimento ne farà le veci.

Art. 77.

Il consultore legale continuerà a prestare la sua opera diretta in aiuto e consiglio del rettore dell’Università di Torino.

Art. 78.

I professori effettivi interverranno con voce deliberativa nel Consiglio della propria Facoltà quando sia convocato per formare programmi, dar pareri, far proposte intorno alla distribuzione dell’insegnamento, all’ordine degli studi e degli esami. Per questi ultimi oggetti il Consiglio potrà convocare la Facoltà intera se lo creda opportuno.
I presidi di questi Consigli. eseguiranno subordinatamente al rettore l’ispezione disciplinare delle rispettive Facoltà.

Art. 79.

Sino alla promulgazione di una nuova legge sull’insegnamento secondario, i presidi ed i direttori degli studi, i Consigli ordinari, ed i Consigli collegiali continuano ad esercitare quelle funzioni che dalla presente legge non sono conferite ad altre podestà.
Ordiniamo che la presente, munita del Sigillo dello Stato, sia inserta nella raccolta degli atti del Governo, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come Legge dello Stato.
Dat. a Torino addì 22 giugno 1857.

VITTORIO EMANUELE

(Luogo del Sigillo).
V.° Il Guardasilli
de foresta.

G. LANZA.

venerdì 29 maggio 2009

Collocazione del Crocefisso nelle aule di udienza (Circolare del Ministro Rocco, 29 maggio 1926)

Circolare del Ministro Rocco, 29 maggio 1926


Collocazione del Crocefisso nelle aule di udienza

(Circolare Ministero di Grazia e Giustizia - Div. III del 29/5/1926, n. 2134/1867)


«Prescrivo che nelle aule di udienza, sopra il banco dei giudici e accanto all’effige di Sua Maestà il Re sia restituito il Crocefisso, secondo la nostra antica tradizione.
Il simbolo venerato sia solenne ammonimento di verità e di giustizia.
I Capi degli uffici giudiziari vorranno prendere accordi con le Amministrazioni comunali affinché quanto ho disposto sia eseguito con sollecitudine e con decoro di arte, quale si conviene all’altissima funzione della giustizia».

giovedì 30 aprile 2009

Regio decreto 30 aprile 1924, n. 965: "Ordinamento interno delle giunte e dei regi istituti di istruzione media"

Regio decreto 30 aprile 1924, n. 965: "Ordinamento interno delle giunte e dei regi istituti di istruzione media".

(Da "Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana" n. 148 del 25 giugno 1924)

Preambolo
Veduti i nostri decreti 3 febbraio 1901, n. 31; 21 giugno 1885, n. 3413, e 3 dicembre 1896, n. 592, con i quali furono rispettivamente approvati i regolamenti per i ginnasi e i licei, per le scuole tecniche e gli istituti tecnici e per le scuole complementari normali; Veduto il nostro decreto 6 maggio 1923, n. 1054, riguardante il nuovo ordinamento dell'istruzione media; Veduto il nostro decreto 14 ottobre 1923, n. 2345, che approva gli orari e i programmi d'esame per i regi istituti medi d'istruzione.

(omissis)

Art. 118.
Ogni istituto ha la bandiera nazionale; ogni aula, l'immagine del Crocifisso e il ritratto del Re.

(omissis)

giovedì 30 novembre 2006

Storia del crocifisso nelle scuole pubbliche italiane (Rosci Valentina)

L’esposizione dei crocifissi nelle scuole pubbliche viene disposta mediante circolare con riferimento alla Legge Lanza del 1857 per la quale l’insegnamento della religione cattolica era fondamento e conoramento dell’istruzione cattolica, posto che quella era la religione di Stato.
L’esposizione del crocifisso negli uffici pubblici in genere, è data con ordinanza ministeriale 11 novembre 1923 n. 250, nelle aule giudiziarie con Circolare del Ministro Rocco, Ministro Grazia e Giustizia, Div. III, del 29 maggio 1926, n. 2134/1867 recante “Collocazione del crocifisso nelle aule di udienza”, che recita:
“Prescrivo che nelle aule d’udienza, sopra il banco dei giudici e accanto all’effige di Sua Maestà il Re sia restituito il Crocifisso, secondo la nostra tradizione. Il simbolo venerato sia solenne ammonimento di verità e giustizia. I capi degli uffici giudiziari vorranno prendere accordi con le Amministrazioni Comunali affinché quanto esposto sia eseguito con sollecitudine e con decoro di arte quale si conviene all’altissima funzione della giustizia”.
In materia scolastica si ricordano, le norme regolamentari art. 118 Regio Decreto n. 965 del 1924 (relativamente agli istituti di istruzione media) e allegato C del Regio Decreto n. 1297 del 1928 (relativamente agli istituti di istruzione elementare), che dispongono che ogni aula abbia il crocifisso.
Con circolare n. 367 del 1967, il Ministero dell’Istruzione ha inserito nell’elenco dell’arredamento della scuola dell’obbligo anche i crocifissi.
Nei Patti Lateranensi e successivamente nelle modifiche apportate al Concordato con l’Accordo ratificato e reso esecutivo con la L. 25 marzo 1985 n.121[1], nulla viene stabilito relativamente all’esposizione del crocifisso nelle scuole o, più in generale negli uffici pubblici, nelle aule del tribunale e negli altri luoghi nei quali il crocefisso trova ad essere esposto.
Con parere n. 63 del 1988, infatti, il Consiglio di Stato ha stabilito che le norme dell’art 118 R.D. 30 aprile 1924 n. 965 e l’allegato C del R.D. del 26 aprile 1928 n. 1297, che prevedono l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche non possono essere considerate implicitamente abrogate dalla nuova regolamentazione concordataria sull’insegnamento della religione cattolica. Ha argomentato il Consiglio di Stato: premesso che “il Crocifisso, o più esattamente la Croce, a parte il significato per i credenti, rappresenta il simbolo della civiltà e della Cultura cristiana, nella sua radice storica, come valore universale, indipendentemente da specifica confessione religiosa, le norme citate, di natura regolamentare, sono preesistenti ai Patti Lateranensi e non si sono mai poste in contrasto con questi ultimi. Occorre, poi, anche considerare – continua il Consiglio di Stato – che la Costituzione Repubblicana, pur assicurando pari libertà a tutte le confessioni religiose, non prescrive alcun divieto alla esposizione nei pubblici uffici di un simbolo che, come il Crocifisso, per i principi che evoca e dei quali si è già detto, fa parte del patrimonio storico[2]”.
Le norme citate dovrebbero, però, ritenersi implicitamente abrogate dal d.lgs. 297/94 in cui all’art. 107, nell’elencazione puntuale delle suppellettili che compongono l’arredo si fa riferimento esplicito solamente all’attrezzatura, l’arredamento e il materiale da gioco per la materna. In modo più chiaro ed esplicito l’art. 159 stabilisce “Spetta ai comuni prevedere al riscaldamento, all’illuminazione, ai servizi, alla custodia delle scuole e alle spese necessarie per l’acquisto, la manutenzione, il rinnovamento del materiale didattico, degli arredi scolastici, ivi compresi gli armadi o scaffali per le biblioteche scolastiche, degli attrezzi ginnici e per le forniture dei registri e degli stampati occorrenti per tutte le scuole elementari…”. L’art. 190 stabilisce che “i Comuni sono tenuti a fornire (…) l’arredamento” dei locali delle scuole medie.
Nessun riferimento al crocifisso.
Sicchè si potrebbe sostenere che le norme dell’art. 118 R.D. 30 aprile 1924 n. 965 e l’allegato C del R.D. n. 1297 del 1928, dovrebbero ritenersi implicitamente abrogate ex art. 15 preleggi[3], perché il d.lgs. 297/ 94 regola l’intera materia scolastica.
Tuttavia restano in vigore in forza dell’art. 676 dello stesso decreto intitolato “norme di abrogazione” il quale dispone che “le disposizioni inserite nel presente testo unico vigono nella formulazione da esso risultante; quelle non inserite restano ferme ad eccezione delle disposizioni contrarie od incompatibili con il testo unico stesso, che sono abrogate”.
Orbene, alla specificazione del contenuto minimo necessario delle locuzioni generali “arredi” ovvero “arredamenti” contenute negli artt. 107, 159 e 190 concorrono le due disposizioni regolamentari citate, comprendendovi anche il “crocifisso”.
Così si può affermare che le disposizioni del d.lgs. 297/94, come specificate dalle norme regolamentari citate, includono il crocifisso tra gli arredi scolastici.
Conclusivamente, poiché non appare ravvisabile un rapporto di incompatibilità con norme sopravvenute, né può configurarsi una nuova disciplina dell’intera materia, già regolata da norme anteriori, né, come ha ritenuto il Consiglio di Stato, attengono all’insegnamento della religione cattolica, né costituiscono attuazione degli impegni assunti dallo Stato in sede concordataria, le disposizioni di cui all’art. 118 R.D. 30 aprile 1924 n. 965 e quelle
allegato C del R.D. 26 aprile 1928 n. 1297, devono ritenersi legittimamente operanti[4].
La Corte di Cassazione (Sez. III, 13-10-1998) ha affermato in particolare, che non contrasta con il principio di libertà religiosa, formativa della Costituzione, la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche: “Il principio della libertà religiosa, infatti, collegato a quello di uguaglianza, importa soltanto che a nessuno può essere imposta per legge una prestazione di contenuto religioso ovvero contrastante con i suoi convincimenti in materia di culto, fermo restando che deve prevalere la tutela della libertà di coscienza soltanto quando la prestazione, richiesta o imposta da una specifica disposizione, abbia un contenuto contrastante, con l’espressione di detta libertà: condizione questa, non ravvisabile nella fattispecie”, nella quale si discuteva della lesività del principio di libertà religiosa proprio ad opera dell’esposizione del crocifisso nell’aula scolastica adibita a seggio elettorale.
In una recente decisione, invece, la Cassazione[5] ha ritenuto contraria al principio di laicità l’esposizione dei crocifissi nei seggi elettorali, prendendo ad esempio una decisione del Tribunale Costituzionale tedesco del 1995[6]. Escluso che l’articolo 9 del nuovo Concordato con la Chiesa cattolica – in cui la Repubblica italiana prende atto che “i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano” – possa costruire idoneo fondamento normativo alla prassi amministrativa in materia, la Suprema Corte rigetta anche la “giustificazione culturale”, contraddicendo espressamente l’avviso del Consiglio di Stato. Non è sostenibile, infatti, “la giustificazione collegata al valore simbolico di un’intera civiltà o della coscienza etica collettiva”, per il contrasto in essa implicito con il divieto delle differenziazioni per motivi religiosi.
È lecito esporre un crocifisso in un’aula scolastica, in un tribunale o in un ufficio pubblico, questa scelta può offendere la coscienza del non credente o dell’appartenente ad una confessione religiosa contraria a tale simbologia? L’esposizione contraddice la “laicità dello Stato”? E a che tipo di simbologia deve essere ascritto il crocifisso: identità religiosa o culturale?
Nel corso dell’anno scolastico 2002-2003, Adel Smith, cittadino italiano di religione musulmana, domanda all’insegnante della scuola di Ofena (in provincia di L’Aquila), frequentata dai suoi figli, di rimuovere il crocifisso appeso alla parete o, in subordine, di appendervi un quadretto con la sura del Corano. L’insegnante accondiscende a questa seconda richiesta, ma viene smentita dal dirigente scolastico il quale impone di rimuovere il quadretto. Assistito da un avvocato, Adel Smith ricorre al Tribunale di L’Aquila per ottenere un pronunciamento d’urgenza. Investito della questione, il Tribunale ribadisce il carattere laico della Repubblica italiana e delle sue istituzioni e il 23 ottobre decreta la rimozione del crocifisso[7]. Un’ordinanza successiva ha invece revocato tale rimozione poiché ha ritenuto che l’istanza presentata non integrasse una domanda “meramente risarcitoria”, ma si concretizzasse nella richiesta di una misura di carattere inibitorio idonea ad interferire nella gestione del servizio scolastico, dal che la sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo[8].
La rimozione del crocifisso scatena un’aggressiva polemica pubblica e una vera e propria campagna per il rilancio del crocifisso così che la maggior parte degli italiani hanno fatto questo tipo di ragionamento: “L’offesa è grande. Insopportabile. Una prevaricazione. Un esproprio. Un Tizio entra nel tuo alloggio, si accomoda in poltrona, ha libero accesso al frigorifero, usa il tuo bagno e invece di ringraziare per l’ospitalità, ti ingiunge di togliere dalla parete quel “coso” lì. Sarà anche un coso ma permetti decido io se deve restare lì o sparire[9]”.
Un ragionamento un po’ rozzo ma tale vicenda ci fa comprendere che oggi la questione dei simboli religiosi, a partire dal sostrato argomentativo connesso alla rivendicazione della libertà di coscienza e della neutralità dello Stato, può trasformarsi in un momento di “scontro tra religioni e civiltà”.
Una questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dal TAR del Veneto[10], avente ad oggetto gli artt. 159 e 190 del d. lgls. n. 297 del 1994, come specificati dall’art. 119 allegato C del R.D. 26 aprile 1928 n. 1297 e dall’art. 118 del R.D. 30 aprile 1924 n. 965, nella parte in cui includono il crocefisso tra gli arredi scolastici, nonché l’art. 676 d.lgs. 297/94, nella parte in cui conferma la vigenza degli artt. 119 allegato C del R.D. 1297/28 e 118 del R.D. 965/24.
Il Tribunale remittente sostiene che il crocifisso è essenzialmente un simbolo religioso cristiano, di univoco significato confessionale, che l’imposizione della sua affissione nelle aule scolastiche non sarebbe compatibile con il principio supremo di laicità, desunto dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19, 20 della Costituzione, e con la conseguente posizione di equidistanza e di imparzialità fra le diverse confessioni che lo Stato deve mantenere; che la presenza del crocifisso, che verrebbe obbligatoriamente imposta ad alunni, genitori e insegnanti, delineerebbe una disciplina di favore per la religione cristiana rispetto alle altre confessioni, attribuendo ad essa una ingiustificata posizione di privilegio.
La Corte Costituzionale con ordinanza 389/2004[11] ha ritenuto di non doversi pronunziare in quanto le norme in esame hanno natura regolamentare, norme prive di forza di legge, sulle quali non può essere invocato un sindacato di legittimità costituzionale, né conseguentemente, un intervento interpretativo.
In questa prospettiva, l’ordinanza della Corte, con le sue argomentazioni tecniche, pare suggerire un inasprimento di toni senza rinunciare a continuare ad interrogarsi. Tuttavia il dibattito in corso sull’esposizione del crocifisso pare sempre meno legato alla religione, alla religiosità e alla fede e invece strumentalizzato dai politici di destra e di sinistra.
Rosci Valentina



[1] Viene abrogato il principio della religione cattolica come religione di Stato mediante il punto 1 del Protocollo Addizionale all’Accordo di Villa Madama. Il Concordato 1984 non prevede, perciò, l’insegnamento diffuso della religione cattolica.
[2] Analogamente si esprimeva il Ministro di Grazia e Giustizia, a seguito di un esposto di un privato al Presidente della Corte di Appello delle Marche, sulla vicenda, dopo il nuovo Concordato della circolare che prescrive il crocifisso nelle aule giudiziarie (Circ. n. 1867 della Div. III n. 2134 del Reg. Circ., emessa il 29 maggio 1926). Sostenendo il dovere di mantenere il simbolo, il Ministro ha affermato che “ …il cristianesimo è componente integrante della nostra storia… il crocifisso, il segno più alto del cristianesimo, appare, allora, per tutti, credenti e non, come il simbolo di questa nostra civiltà come il segno della nostra cultura umanistica e della nostra coscienza etica. Si ritiene, dunque, che la presenza nelle aule ove si amministra la giustizia la presenza del simbolo rappresentativo della legge morale e dell’etica che sta alla base della nostra società sia tuttora opportuna e non contrasti con i principi di libertà di pensiero e di religione posti dalla Costituzione. Infatti tale simbolo sarà letto in termini religiosi dall’uomo che crede , ma avrà valore indicativo e morale anche per chi vede la vita e la storia solo come vicenda terrena”.
[3] Abrogazione delle leggi. Le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore.
[4] Parere 16 luglio 2002, Avvocatura dello Stato di Bologna.
[5] Cass. pen., Sez. IV, 1 marzo 2000, n. 439, in Giur. Cost., 2000, p. 1121. La Cassazione ha riconosciuto “l’obiezione di coscienza” di uno scrutatore che lamentava come contrario ai propri convincimenti il fatto che l’amministrazione pubblica nell’organizzare le operazioni elettorali non avesse provveduto all’eliminazione dei crocifissi nei luoghi adibiti ai seggi, nonostante che nel seggio dell’interessato non fosse esposto tale simbolo.
[6] BVerfG, 16 maggio 1995, in QDPE, 1995, p. 808.
[7] Con tecnica del tutto contraria si era pronunciato un giudice di merito, sulla richiesta di rimuovere il crocifisso, sostenendo che esso doveva restare esposto, posto che la sua presenza
non può costituire pregiudizio alcuno per la formazione culturale e ideologica dell’alunno… data la particolare importanza che la figura di Cristo ha assunto nella nascita e nella evoluzione della civiltà occidentale, come dimostrato, tra l’altro, dalla testimonianza di un uomo di cultura laica come Benedetto Croce, il quale pubblicamente riconosceva che “..non possiamo non dirci cristiani” (Pret. Roma, 28 aprile 1986, in Riv. giur.scuola, 1986, p. 619).
[8] V. Trib. L’Aquila, ord. 29 novembre 2003 e 23 ottobre 2003, in Foro it., 2004, I, p. 1262.
[9] V. FELTRI, Il diario di Vittorio Feltri, in Libero, 29-10-2003, p. 1552.
[10] V. Trib. Veneto, sez. I, ord. 14 gennaio 2004, in Foro it., 2004, III, p. 235.
[11] Ordinanza 13 dicembre 2004 n. 389, in Giur. Cost., 2004.




giovedì 9 marzo 2006

La laicità nella Repubblica italiana non è contrapposizione tra stato e confessioni religiose (Filosa Teresa)

Commento alla Sentenza del Consiglio di Stato - Sezione VI -13 febbraio 2006 n. 556

La motivazione dei giudici amministrativi
Il Consiglio di Stato è stato chiamato a pronunciarsi sulla dibattuta questione del Crocifisso nelle scuole. Nella motivazione si osserva in via preliminare che l’ostensione del Crocifisso non può ritenersi illegittima per l’asserito contrasto con l’aconfessionalità dello Stato, dovendosi piuttosto definire il principio della laicità alla stregua dell’ordinamento costituzionale. Richiamando la giurisprudenza della Corte costituzionale, i Giudici della VI sez. riconoscono che la laicità è principio generale che si ricava dal comb. disp. degli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 Cost. Prosegue poi la Corte amministrativa, nel precisare che laicità nel nostro ordinamento “Indica in forma abbreviata profili significativi di quanto disposto dalle anzidette norme, i cui contenuti individuano le condizioni di uso secondo le quali esso va inteso ed opera”.
In altri termini il concetto extragiuridico di laicità è da intendersi recepito nell’ordinamento costituzionale, nei limiti in cui esso risulta giuridicamente “ridefinito” dalla reciproca interazione delle norme richiamate.
E’ ampio il contenuto delle disposizioni della Costituzione relative alla sfera religiosa, come ribadirà in seguito la Corte amministrativa. Esse tutelano l’aspetto religioso come diritto fondamentale della persona in sé (art. 2 - disposizione intesa comunemente come clausola aperta[1]) considerata uguale agli altri cittadini a prescindere dal proprio credo, nel senso che la fede religiosa è uno degli aspetti della persona tutelato contro la discriminazione (art. 3)[2]. La Costituzione garantisce a tutti la libertà di esprimere l’aspetto religioso della personalità individuale e sociale (artt. 2 - 19)[3]. La tutela si estende alle istituzioni con finalità religiose che non possono essere discriminate per il loro fine religioso o di culto (art. 20)[4]. La tutela e i rapporti tra Stato e Chiesa Cattolica e le altre confessioni religiose sono poi rispettivamente regolati dagli artt. 7 e 8 Cost[5].
La sentenza in commento argomenta che la soluzione del quesito posto ai giudici presuppone in via preliminare chiarire il confine tra ideologia e diritto sul tema “caldo” della laicità:
“Le condizioni di uso vanno certo determinate con riferimento alla tradizione culturale, ai costumi di vita, di ciascun popolo, in quanto però tale tradizione e tali costumi si siano riversati nei loro ordinamenti giuridici. E questi mutano da nazione a nazione”.
Schematizzando:
a) il concetto di laicità dello Stato in rapporto al fenomeno religioso e le stesse espressioni religione o culto richiamano nozioni relative alla cultura, tradizione, costume di un popolo; si tratta di un dato che va pertanto, contestualizzato e storicizzato;
b) l’ampiezza e i limiti del riconoscimento del dato sociologico, antropologico, ecc. sono dati dalla loro giuridicità ossia dalla ricezione in ordinamenti giuridici[6];
c) per il nostro ordinamento, il contenuto e i limiti di tale riconoscimento sono dati dalla ricezione degli elementi extragiuridici nelle norme costituzionali sopra richiamate.
La Corte amministrativa prosegue con una breve rassegna comparativa di diritto internazionale volta ad esemplificare i concetti sopra espressi, evidenziando la relatività e diversità rispetto ai vari ordinamenti del concetto di laicità. Ed opera una triplice distinzione tra:
► Laicità di tipo contrappositivo: il fenomeno religioso è considerato in antitesi allo Stato che pertanto, tende a limitarlo e costringerlo nelle maglie del diritto. Si fa l’esempio dell’ordinamento Francese, e si indica ad esempio la recente legge che limita l’ostentazione dei simboli religiosi.
Non vi è chi non vi ravvisi un residuo delle concezioni illuministiche in base alle quali il fenomeno religioso era ritenuto in contrasto con la Ragione e considerato un ostacolo alla scienza e al progresso[7].
► Laicità di tipo consociativo - come l’ordinamento degli U.S.A. in cui, nonostante l’affermata separazione tra ordinamento statale e confessioni religiose, si manifesta una parziale commistione o integrazione tra le due sfere (esemplificata dal Collegio, nel riferimento a Dio contenuto nella moneta americana).
► Laicità di tipo autonomistico caratterizzata, nel nostro ordinamento, dalla reciproca indipendenzadella sfera temporale da quella spirituale ed espressa nell’assetto sopra sintetizzato.
La Corte amministrativa esplicita il significato dell’autonomia ed indipendenza della sfera civile e religiosa, col rimarcare che esse si connotano di un atteggiamento “di favore nei confronti del fenomeno religioso” e delle confessioni che lo propugnano. Esso si esprime, tra l’altro nella regolamentazione dei rapporti mediante il meccanismo del Concordato per la Chiesa Cattolica, e di intese preventive recepite in leggi per le altre Confessioni (art. 7 e 8 co.3 Cost).
Quanto osservato dalla Corte è sufficiente ad escludere dunque, decisamente, sia l’irrilevanza religiosa, sia l’atteggiamento ostativo, nella laicità giuridicamente rilevante per l’ordinamento italiano.
In particolare, il significato del Simbolo “Crocifisso”.
Passando ad esaminare la questione ad essa sottoposta, se l’imposizione del Crocifisso nelle aule di una scuola pubblica sia lesiva dei contenuti delle norme fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, che danno forma e sostanza al principio di "laicità" che connota oggi lo Stato, il Collegio premette ancora una definizione dei termini del discorso, relativa al significato, nell’ordinamento, del Simbolo in oggetto, a prescindere dal suo valore strettamente religioso per coloro che professano la fede cattolica:
“E’ evidente che in Italia, il crocifisso è atto ad esprimere, appunto in chiave simbolica ma in modo adeguato, l’origine religiosa dei valori di tolleranza, di rispetto reciproco, di valorizzazione della persona, di affermazione dei suoi diritti, di riguardo alla sua libertà, di autonomia della coscienza morale nei confronti dell’autorità, di solidarietà umana, di rifiuto di ogni discriminazione, che connotano la civiltà italiana.
Questi valori, che hanno impregnato di sé tradizioni, modo di vivere, cultura del popolo italiano, soggiacciono ed emergono dalle norme fondamentali della nostra Carta costituzionale, accolte tra i "Principi fondamentali" e la Parte I della stessa, e, specificamente, da quelle richiamate dalla Corte costituzionale, delineanti la laicità propria dello Stato italiano.
Vi è di più - sembra osservare la Corte amministrativa. Il simbolo, a prescindere dalla sua origine religiosa, comunica valori di pregio anche in un contesto ambientale educativo come quello di un istituto scolastico statale, e la validità della loro espressione in quel luogo e attraverso quel simbolo, costituisce scelta discrezionale del legislatore che, conformemente ai principi costituzionali, ritiene rilevanti tali valori.
Tutto ciò fonda e legittima la generalizzata obbligatorietà del simbolo, non già qualeprevaricazione religiosa, retaggio di uno stato confessionale,ma quale obbligatorietà del rispetto, nonché riconoscimento del rilievo culturale della trasmissione di valori solidamente radicati, prima ancora che giuridicamente riconosciuti:
“Il richiamo, attraverso il crocifisso, dell’origine religiosa di tali valori e della loro piena e radicale consonanza con gli insegnamenti cristiani, serve dunque a porre in evidenza la loro trascendente fondazione, senza mettere in discussione, anzi ribadendo, l’autonomia (non la contrapposizione, sottesa a una interpretazione ideologica della laicità che non trova riscontro alcuno nella nostra Carta fondamentale) dell’ordine temporale rispetto all’ordine spirituale, e senza sminuire la loro specifica "laicità", confacente al contesto culturale fatto proprio e manifestato dall’ordinamento fondamentale dello Stato italiano. Essi, pertanto, andranno vissuti nella società civile in modo autonomo (di fatto non contraddittorio) rispetto alla società religiosa, sicché possono essere "laicamente" sanciti per tutti, indipendentemente dall’appartenenza alla religione che li ha ispirati e propugnati”.
Osservazioni conclusive. Libertà come dialogo, tolleranza reciproca e promozione positiva di valori.
La Costituzione Italiana viene adeguatamente prospettata dalla pronuncia in commento, suffragata dalla giurisprudenza della Consulta, Progetto fondante che non si limita ad elencare le liberta fondamentali in un acritica successione di disposizioni, bensì come l’assetto delle libertà dei soggetti pubblici e privati ossia le modalità del loro interagire, affinché sia garantito sul piano sociale il limite reciproco dei valori di eguale rilevanza, per la pacifica coesistenza. E sul piano formale, per garantire l’armonizzazione del sistema.
La Costituzione esprime i valori comuni e portanti che unificano un Popolo su una data espressione territoriale, a fini di sviluppo del Progetto “Repubblica democratica”, ossia di espansione sempre maggiore delle libertà individuali e collettive. Il che tuttavia, presuppone per converso, doveri e responsabilità, rispetto e tolleranza reciproca.
Il discorso sul simbolo Crocifisso - assume una portata ampia e complessa di cui con ogni probabilità giudici sono stati consapevoli allorché hanno ricavato, sia pure in sintesi, i valori laici sottesi al Crocifisso.
Di tali implicazioni ne indico tre:
► il riferimento alla Storia d’Italia. In ciò - vale la pena di ricordare - una delle ragioni che furono alla base del deciso rifiuto del Presidente Ciampi, alla prospettiva di rimuovere dal Quirinale l’artistico Crocifisso. A ben vedere, quel Crocifisso richiama proprio la storia recente, ma anche futura tra il Quirinale e non solo la Santa Sede (con riferimento al Concordato), ma richiama - parallelamente - per la pari dignità insita nel sistema Costituzionale (così come interpretato dal C.d.S e dalla Consulta), il valore sociale, prima ancora che giuridico, delle “intese” volte a costituire il contenuto sostanziale delle leggi di rilevanza costituzionale che disciplinano i rapporti con le confessioni religiosericonosciute dall’ordinamento. Una laicità dunque, sul piano della Costituzione vivente.
Ne deriva che la tutela riconosciuta dallo Stato alle confessioni religiose esprime non solo la fredda e formale “tolleranza” misurata per così dire a “centimetri” di spazio assegnato, ma il valore ben più pregnante della positiva collaborazione fatta di conoscenza, dialogo e accoglienza reciproca tra le fedi e con le istituzioni statali, al fine della realizzazione del bene comune, nel campo economico, politico e sociale.
► La seconda implicazione riguarda la stretta connessione tra Crocifisso e arte. Il Crocifisso è in Italia il più Autorevole dei simboli religiosi, ma non l’unico. Si pensi ad antiche icone, bassorilievi, ecc. che allocati negli istituti che - eventualmente mediante convenzioni con enti religiosi - utilizzassero locali di antichi conventi o chiese non più adibite a culto per l’edilizia scolastica pubblica. La loro ipotetica rimozione peraltro, comporterebbe tecnicamente il rischio di deterioramento, qualora si trattasse di opere realizzate su supporti congiunti alla parte muraria. E ancora i mosaici, statue, bassorilievi o affreschi a carattere religioso esistenti non in privati musei, ma in giardini e altri luoghi pubblici. Per tacere delle storiche edicole della Vergine e dei Santi che troviamo ai lati delle strade e nelle piazze pubbliche, dalla Capitale alle stradine di remote contrade del Paese.
La laicità - intesa nel senso contrappositivo sopra indicato -nonnesuggerirebbe con la sua assurda logica, la rimozione e sostituzione con asettiche pitturazioni bianche, ovvero con cartelloni pubblicitari in nome di una laica religione del consumismo?
E’ il caso di osservare che l’arte è la prima testimone della dimensione sociale e non esclusivamente intimistica della fede religiosa, per rendersi conto dell’incongruenza di prospettare una tolleranza e un rispetto tra culture religiose basate sulla “soppressione” nell’ambito della vita pubblica dei reciproci segni o simboli religiosi.
► Si accenna infine soltanto, al discorso dei contenuti dell’insegnamento “laico”nelle scuole. Si pensi ad es. alla prassi centenaria, di allestire, nel periodo natalizio, il presepe nelle scuole pubbliche italiane. Sarebbe davvero assurdo se un docente d’Italiano o di Storia dell’arte - per un malinteso laicismo oppositivo - tacesse del significato del presepe (magari sostituendovi un “laico” abete...). O per fare un ultimo riferimento a Figure -“simbolo” della fede cattolica universalmente stimati, si pensi al paradosso di un insegnante che ritenesse “non legittimo” trasmettere ai discenti i contenuti educativi di pace, amore per i poveri, per il creato, espressi da S. Francesco d’Assisi, che la Chiesa Cattolica proclamò Patrono d’Italia...
Il dato di fatto su cui l’illustre Collegio sembra aver invitato la società civile ad una serena riflessione è che pur nel rispetto di una società multiculturale, i valori religiosi espressi dal Crocifisso sono per così dire amalgamati in un mulsum ormai inscindibile, nel sostrato antropologico, storico, lessicale, artistico, letterario del Paese. Insomma in ciò che chiamiamo sinteticamente “cultura italiana” e “nostre radici”. Di tutto ciò, già i Padri della Repubblica, che parteciparono alla Costituente, erano saggiamente consapevoli.
Avv. Teresa Filosa - Avvocato del Foro di Torre Annunziata (NA)


[1] Sull’art. 2 come clausola aperta cfr. Martines, Diritto Costituzionale, Giuffré 2005, p. 594
[2] Sulla laicità come eguaglianza delle confessioni religiose rispetto allo Stato ex art. 3 Cost., cfr. la sentenza della Corte Cost. n. 440 del 1995, che dichiara l’illegittimità parziale del reato di bestemmia, art. 724 1 co., del codice penale, limitatamente alle parole “o i Simboli o le Persone venerati nella Religione dello Stato” e così ne apre la portata anche alla tutela di Divinità venerate dai culti acattolici; nonché la sentenza che dichiara l’illegittimità costituzionale del vilipendio alla religione dello Stato art. 402 c.p. Si segnala infine, con riferimento agli artt. 3 e 8 Cost., la sent. della Corte Cost. n. 195/93 sulla ammissibilità delle confessioni prive d’intesa con lo Stato ai contributi regionali per l’edilizia di culto (L. Reg. Abruzzo n. 29/88).
[3] Sulla tutela delle confessioni religiose non cattoliche in riferimento all’art. 17 Cost. : sent. n. 45/57; con riferimento agli artt. 8 e 19 Corte Cost. n. 59 del 1958.
[4] Con riferimento agli artt. 7, 8 e 20 Cost. si segnala la sent. Corte Cost. n. 86 del 1985.
[5] Sui limiti della giurisdizione ecclesiastica in rif. agli artt. 7 e 102 Cost., cfr. le sentenze Corte Cost. n. 30/71 e 1/ 77. Sui rapporti tra Concordato e legge ordinaria, in tema di insegnamento della Religione Cattolica: Corte Cost. n. 390/99.
[6] Il che rende in seguito, più complessa l’operazione ermeneutica per la loro determinazione e applicazione pratica ai vari istituti che li recepiscono: non vale più, soltanto il riferimento alla realtà sociale, poiché i concetti extragiuridici sono incorporati e limitati dal sistema normativo dato, che ne definisce tra l’altro, come nel caso di religionee culto anche le modalità operative.
[7] Andrebbero approfondite nel caso specifico le ragioni storiche, sociali e politiche che hanno condotto in Francia alla disciplina restrittiva dei simboli religiosi a cui fa riferimento la Corte amministrativa.
P.S. Un’ultima notazione a proposito dei contenuti dell’insegnamento “laico”.
Ho tralasciato volutamente il riferimento a Dante, poiché nessuno potrebbe negare che la sua Opera è imprescindibile nello studio dell’evoluzione della Lingua italiana dal latino al volgare.
(Peraltro, il riferimento a Dante, come pure agli affreschi di Giotto è già contenuto nell’articolo del Prof. Avv. Raffaele Coppola, Ordinario di Dir. Eclesiastico all’Università di Bari, scritto a commento delle precedenti sentenze - vedi: “Il Simbolo del Crocifisso e la laicità dello Stato” in http://www.studiocelentano.it/editorial/131201.asp).
Gli studi danteschi sono fiorenti altresì in Europa e nelle università degli USA. Perciò sarebbe impensabile un nuovo... “esilio” culturale del sommo Poeta in Patria...
Vorrei piuttosto rilevare un dato eloquente, da cui trarre autorevole conferma di quanto si sosteneva, circa l’intima connessione, tra religione cristiana, letteratura e cultura italica in generale. Lo ricavo dalle reminiscenze del mio Poeta preferito, Giuseppe Ungaretti. Egli giunge alla fede attraverso l’esperienza del dolore. Poeta tra le due guerre, proprio nel dolore incontra Cristo, Colui che ha condiviso il dolore umano. Con animo riconoscente, il Nostro eleva a Cristo un inno, nel quale peraltro, denuncia che, a causa proprio dell’abbandono dei valori cristiani, la stoltezza umana ha prodotto gli orrori che il Poeta e i suoi contemporanei hanno tristemente sperimentato: Vedo ora nella notte triste, imparo,/So che l'inferno s'apre sulla terra / Su misura di quanto/L'uomo si sottrae, folle,/Alla purezza della Tua passione.
Ma il dato significativo che vorrei evidenziare è contenuto nell’epilogo:
Cristo, pensoso palpito
Astro incarnato nell’umane tenebre
fratello che t'immoli
perennemente per riedificare
umanamente l'uomo,
Santo Santo che soffri,
Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli,
Santo, Santo che soffri
per liberare dalla morte i morti
e sorreggere noi infelici vivi;
d'un pianto solo mio non piango più.
Ecco, Ti chiamo, Santo,
Santo, Santo che soffri
.
(Mio Fiume anche tu - Da “Il Dolore-Roma Occupata”)
Ebbene, con gli ultimi versi qui citati, connotati dalla marcata assonanza col Sanctus, Ungaretti sarebbe colpevole - secondo i teorici del laicismo oppositivo censurati nella sentenza in commento - di introdurre arbitrariamente, la Liturgia cattolica nella Letteratura!...


giovedì 2 marzo 2006

Il Crocifisso deve restare nelle aule scolastiche (Mario Pavone)

Con una importante decisione,il Consiglio di Stato è intervenuto sulla questione della esposizione del crocifisso nelle aule stabilendo, una volta per tutte, che «per tutti, credenti e non credenti, essa non discrimina».

Respingendo il ricorso di una signora finlandese,che aveva chiesto la rimozione della croce dalla parete dell’aula di una scuola media frequentata dai figli, la cui esposizione avrebbe a suo dire violato i principi di laicità dello Stato e d'imparzialità dell'amministrazione,la VI Sezione,con sentenza n.556 del 132/2006,ha stabilito che il crocifisso deve restare nelle aule perché esso non è solo un simbolo religioso,ma esprime tutti i valori civili di tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione dei suoi diritti e solidarietà, tutti principi che “delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato”(1).

La sentenza in commento ha il pregio di ricondurre,in termini strettamente giuridici, un dibattito, quello sulla libertà religiosa e sulla laicità della Repubblica italiana, troppo spesso ispirato da interpretazioni che gli stessi giudici hanno descritto come «ideologiche».

Il Crocifisso rimane, dunque, “sintesi di valori anche per i laici» e ha «funzione altamente educativa» a prescindere dal culto.Esso è un segno che non discrimina ma unisce,non offende ma educa.

Fuori dalle chiese, in un ufficio pubblico come può essere una scuola, il crocifisso resta un riferimento alla fede per i cristiani, «ma per credenti e non credenti la sua esposizione sarà giustificata e assume rà un significato non discriminatorio sotto il profilo religioso, se esso è in grado di rappresentare e di richiamare in forma sintetica immediatamente percepibile e intuibile (al pari d'ogni simbolo) valori civilmente rilevanti, e segnatamente quei valori che soggiacciono e ispirano il nostro ordine costitu zionale, fondamento della nostra civile convivenza».

Esso,dunque,esprime valori quale «tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione dei suoi diritti, riguardo alla sua libertà, autonomia della coscienza morale nei confronti dell'autorità, solidarietà umana, rifiuto di ogni discriminazione»,valori che «hanno impregnato di sé tradizioni, modo di vivere, cultura del popolo italiano».

In questo senso «il crocifisso potrà svolgere, anche in un orizzonte "laico", diverso da quello religioso che gli è proprio, una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni».(2)

La ricorrente cittadina straniera nel 2002 si era rivolta al Tribunale amministrativo regionale del Vene to che,dopo aver sollevato la questione davanti alla Corte costituzionale(3),che l'aveva dichiarata inammissibile, aveva respinto il ricorso.

I Giudici del massimo consesso amministrativo hanno giudicato «infondato» il ricorso in appello proposto dalla medesima ricorrente motivando la decisione proprio con il principio di laicità dello Stato,

Si legge,infatti, nella sentenza che «non si può pensare al crocifisso esposto nelle aule scolastiche come a una suppellettile, oggetto di arredo e neppure come a un oggetto di culto; si deve pensare piuttosto come a un simbolo idoneo a esprimere l'elevato fondamento dei valori civili sopra richiamati, che sono poi i valori che delineano la laicità nell'attuale ordinamento dello Stato».

Uno Stato laico, dunque, rispetta la sensibilità e la libertà religiosa di ciascuno, riaffermando al tempo stesso valori comuni a tutti i cittadini.

Anzi, si legge ancora nella sentenza, «nel contesto culturale italiano appare difficile trovare un altro simbolo, in verità, che si presti più di esso (del crocifisso, ndr) a farlo; e l'appellante del resto auspica (e rivendica) una parete bianca, la sola che alla stessa appare particolarmente consona con il valore della laicità dello Stato».

La decisione delle autorità scolastiche «in esecuzione di norme regolamentari» di esporre il crocifisso - ha osservato il Consiglio di Stato - «non appare pertanto censurabile con riferimento al principio di laicità proprio dello Stato italiano».

Né vale obiettare, come è stato sostenuto nel ricorso,che quelle norme regolamentari (contenute nel regio decreto 965 del 1924) furono emanate quando la religione cattolica era «la sola religione dello Stato» perché «è altrettanto vero che tale norma non impedì minimamente al legislatore, nel corso di vari decenni, di adottare in molteplici settori della vita dello Stato una normativa contraria agli interessi della confessione cattolica» e perfino «di ascrivere la Chiesa cattolica tra le associazioni illecite».

Va ricordato come già in precedenza, il Consiglio di Stato si era pronunciato sulla questione con il parere n. 63/1988(4),documento efficace perché capace, nel breve volgere di poche righe, di riassumere egregiamente quanto di meno condivisibile è possibile sostenere su questo tema(5).

Le asserzioni in esso contenute sono tre.

a) Non sarebbe ravvisabile alcun rapporto di incompatibilità tra le norme regolamentari concernenti l'esposizione del crocefisso nelle scuole e le norme sopravvenute.

b) Il crocefisso, <>.

c) La presenza del crocefisso nelle aule non costituisce <>.

A tale orientamento fece seguito il noto,quanto controverso,provvedimento giudiziale del Tribunale aquilano, che nell'ottobre del 2003 sollevò una vivace reazione sociale ed un coinvolgimento diretto di forze politiche ed istituzioni.(6)

"Nell'ambito scolastico – motivava la sentenza - la presenza del simbolo della croce induce nell'alun no a una comprensione profondamente scorretta della dimensione culturale della espressione di fede, perché manifesta l'inequivoca volontà, dello Stato, trattandosi di scuola pubblica, di porre il culto cattolico al centro dell'universo, come verità assoluta, senza il minimo rispetto per il ruolo svolto dalle altre esperienze religiose e sociali nel processo storico dello sviluppo umano, trascurando completamente le loro inevitabili relazioni e i loro reciproci condizionamenti".

La rimozione del crocifisso, concludeva il giudice, è l'unica misura possibile per inibire la lesione del diritto di libertà dei figli minori, poichéè l'alternativa sarebbe non far partecipare all'attività didattica i piccoli scolari.

Anche la esposizione del Crocifisso nelle aule di giustizia è stato oggetto di critica.

Lo scorso anno,la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione(7) aveva stabilito che l'esposi zione del crocifisso nelle aule di udienza, pur costituendo "una situazione astrattamente sussumibile nelle fattispecie processuali di cui all'art. 45 c.p.p. se si ha riguardo al suo carattere extraprocessuale" non assume rilevanza per la rimessione del giudizio e che è "indubitabile che la esposizione del crocifisso esula dalla fattispecie processuale de qua perché difetta dell’imprescindibile carattere locale".

La Suprema Corte, aveva precisato che "la esposizione del crocefisso nelle aule giudiziarie non è limitata al Tribunale di Verona, e neppure agli uffici giudiziari di quella città, ma si estende ai tutto il territorio nazionale,in conformità, del resto, al contenuto della menzionata fonte ministeriale, che indirizzava l'obbligo di esporre il crocefisso a tutti i capi degli uffici giudiziari nazionali" con la conseguenza che " non può invocarsi l'istituto della rimessione del processo per scongiurare un pericolo di parzialità del giudice o di turbamento del giudizio, quando la situazione che asseritamente genera quel pericolo ha dimensione nazionale, essendo evidente che in tal caso anche la translatio iudicii non sarebbe in grado di rimuovere o evitare quella stessa situazione che si assume pregiudizievole per la imparzialità e serenità del giudizio".

La Corte aveva così respinto l'istanza dell'imputato di fede islamica il quale contestava la presenza del crocifisso nell'aula del Tribunale poiché contraria alla laicità dello Stato italiano e costituente un'intrusione nella sfera di libertà negativa del singolo che può perciò pregiudicare la libera determinazione dei soggetti del processo (dal giudice allo stesso imputato) ovvero costituire un legittimo sospetto sulla imparzialità dello stesso Giudice.(8)

Ostuni, Febbraio 2006

di Mario Pavone Presidente ANIMI

NOTE

(1) v.sentenza in calce

(2) così D.Paolini, in Avvenire

(3) ordinanza 14 gennaio 2004, n. 56 del TAR Veneto e sentenza Corte Cost. 15/12/2004 n.389

(4)v.in Filodiritto.com

(5) v.G.Galante, Piccole note sul Crocifisso nelle aule scolastiche,in Ass.Costituzionalisti.it,ott.2004

(6)v.Tribunale dell’Aquila ordinanza 22 ottobre 2003, Giudice Montanaro,

(7)v. Cass.Sent. n. 41571/2005

(8)v.C. Matricardi, in StudioCataldi.it ,dicembre 2005




http://www.diritto.it/art.php?file=/archivio/21633.html